Faccia a faccia: Immortalità

Onnipotenza sotto scacco

Paolo Crepet
di Patrizio Mignano e Gaetano Massimo Macrì

Con la pandemia e la guerra abbiamo riscoperto tutti i nostri limiti e debolezze, ma affidarsi alla scienza e alla cultura è la chiave di volta. Questo il parere dello psichiatra Paolo Crepet, che in un'intervista concessa a margine della Festa scienza e filosofia di Foligno illustra le controindicazioni dell’illusorio mito dell’immortalità

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“Da occidentali siamo stati abituati a pensare che non bastasse vivere fino a 95 anni e che, grazie anche alla ricerca scientifica, potessimo realizzare il mito dell’immortalità”. Poi una guerra e una epidemia hanno mostrato tutte le nostre fragilità. Abbiamo parlato con Paolo Crepet di questi e altri temi, tra cui l’importanza del tema della cultura per essere liberi: argomento che il noto psichiatra, sociologo e saggista ha affrontato all’edizione 2022 della “Festa di scienza e di filosofia” di Foligno. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Padova nel 1976 e poi in Sociologia presso l'Università di Urbino nel 1980, Crepet è autore di numerose opere, tra cui le ultime tre: “La fragilità del bene” (Einaudi), “Vulnerabili” (Mondadori) e “Oltre la tempesta” (Strade Blu).  

Nel rapporto tra cittadini e scienza, quanto è rilevante la cultura per l’esercizio della libertà?

Oggi la gente è più confusa che mai, ma grazie al contributo della scienza - non certo con i sortilegi - siamo riusciti, se non a vincere, quantomeno a contenere la pandemia in questi due anni terribili. Un bambino che nasce oggi ha in media da vivere 94 anni e questo avviene grazie alla scienza. Questa è la chiave: il rapporto tra i cittadini e il mondo della ricerca deve basarsi sulla fiducia. E per fortuna, anche se con alcune note fuori dal coro, abbiamo affrontato quest’ultimo difficile periodo affidandoci a serie e severe politiche sanitarie. Ma qualcuno, di fronte al rigore sanitario, si è alzato e ha parlato di “assassinio della libertà”. In realtà, se vogliamo, la libertà ce la siamo giocata tanti anni fa, quando la tecnologia ha imposto dei condizionamenti di cui non ci rendiamo neanche conto. Ognuno di noi oggi avrà cliccato chissà quante volte sui cookies, anche io, e così ho dato il mio placet a usare i miei dati, non so neppure a chi.

Comunicare su queste problematiche non è facile, e non sempre chi è deputato a farlo - scienziati, istituzioni e mediatori - ci riesce. Perché?

Se lei mette cinque avvocati in una sala a discutere su un reato commesso vedrà che litigheranno fino a Natale. Io non vado d'accordo con i miei stessi amici, perché l'amicizia non vuol dire pensarla allo stesso modo ma discutere sulle cose. Un conto, però, è discutere, un altro è avere le competenze per farlo. Io non parlo di fisica atomica, non parlo di geografia, non parlo di geopolitica, perché non le ho studiate.

La crisi della gerarchia di competenza: l’abbiamo constatata sulla pandemia e anche adesso, sulla guerra

Oggi però c'è qualcosa di nuovo: la guerra ci fa regredire da un punto di vista cognitivo alle condizioni dei grandi rettili preistorici. C'è una parte antica del cervello che ci fa ragionare ancora oggi come i nostri antenati. E c'è un dato interessante: coloro i quali hanno contestato i vaccini o il green pass lo hanno fatto sulla base dell'ignoranza, della malafede, della sfiducia nei confronti dell'umanità. L’importante è invece affermare il valore del prendersi cura, chiunque tu sia, anche attraverso la gentilezza.

In questo senso, quindi, antiscientismo e bellicosità potrebbero avere radici comuni? Il problema non è anche che pensavamo di essere immortali e la pandemia ci ha mostrato tutte le nostre fragilità?

La nostra cultura di base è legata al mito dell’onnipotenza e questo è terribile. Siamo stati abituati a considerarci padroni della nostra vita. Siamo addirittura arrivati a pensare che vivere fino a 95 anni fosse insufficiente. Perché bisogna andare oltre, sempre. E ora, con la guerra e la pandemia, cosa è successo? Possiamo immaginarci come una bella signora orgogliosa della propria bellezza, a un certo punto arriva questa “severità della vita”, e i suoi tatuaggi che avevano mostrato delle aquile diventano improvvisamente dei condor.

Si è parlato anche di depressione di massa, sono soprattutto le nuove generazioni a scivolare verso un atteggiamento di questo tipo?

Un aspetto fondamentale della nostra società riguarda l'educazione, come siamo stati educati, come abbiamo educato i nostri figli. Perché se un ragazzino è stato educato a pensare che tutto è possibile, che basta fare un cenno con gli occhi, che può avere qualsiasi cosa, che non avrà mai una linea di febbre perché gli darai immediatamente l’antipiretico, questo è un problema. La febbre è prodigiosa, aiuta a riconoscere il proprio corpo che si indebolisce. Attraverso l'indebolimento, conosci te stesso. Quindi, finché sei un gladiatore o un giocatore abituato a vincere sempre, sei un cretino totale. E ne abbiamo avuti. Invece dovremmo cibarci di cose raffinate che comprendano il dolore, che comprendano la sconfitta. Io ho imparato moltissimo dalle mie sconfitte. Anzi, ringrazio i miei maestri perché mi hanno sempre aiutato, non lodandomi mai.

Stando così le cose, possiamo guardare con fiducia al futuro?

Questo è un momento particolare. Si è sentito dire durante la pandemia che nulla sarebbe stato come prima, che avremmo imparato la lezione, che saremmo migliorati, invece non è vero. Non solo, forse siamo anche peggiori di prima. E questo soprattutto a causa della guerra. Perché, per esempio, dopo 70 anni non si potrà andare più a San Pietroburgo a vedere i musei, perché per la prima volta non saremo accettati, non ci faranno entrare. Negli ultimi istanti della vita che ho potuto consumare con Franco Basaglia, l'uomo che ha abbattuto i muri dei manicomi, eravamo al muro di Berlino, e lui guardandolo fece una profezia, disse: "Lo butteranno giù ma poi lo ritireranno su, perché questo è l'egoismo umano".  

A proposito di Basaglia, oggi le neuroscienze soffrono di un organicismo eccessivo? Stiamo riducendo eccessivamente le scienze della mente e della parola a meccanismi di chimica e fisica?

In questi due anni e mezzo di pandemia ci siamo occupati solo di virus, di anticorpi. Dell'anima non è fregato niente a nessuno. Abbiamo chiuso i bambini in casa diversi mesi come neanche si fa col cane da caccia. Perché il cane lo devi portar fuori comunque, e il bimbo no, tanto ha il bagno in casa. Ma ci rendiamo conto? E oggi, in queste ore, stanno massacrando dei bambini. Ma come si fa? E tutti a parlare del razzo, del missile, delle armi. Siamo tutti dei poveri maschilisti, sessualmente eccitati dall'idea che si possa bombardare un’acciaieria.

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