Focus: Inclusione

Discriminare così, per sport

Squadra sportiva femminile
di Rita Bugliosi

Da un’indagine condotta dall’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr emerge che i sedentari sembrano essere più favorevoli all’integrazione e all’uguaglianza di genere rispetto a quanti praticano attività sportiva. Fare sport è invece un’ottima occasione per stringere amicizia

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La pratica dell’attività fisica è un elemento  importante per il nostro benessere. Indubbi sono gli effetti positivi che lo sport esercita a livello fisico: dalla prevenzione delle malattie cardiovascolari al controllo del peso corporeo, dalla diminuzione della pressione arteriosa alla riduzione dei danni muscolo-scheletrici, disturbi favoriti invece dalla vita sedentaria. Svolgere regolarmente esercizio comporta inoltre benefici anche a livello psicologico, aiutando, tra l’altro, a ridurre l’ansia e lo stress, a facilitare il rilassamento, a regolarizzare il sonno e a migliorare l’umore.

Oltre a favorire la salute del corpo e della mente, lo sport, come è stato riconosciuto dal Consiglio dell’Unione Europea, ha anche un ruolo nell’integrazione delle minoranze e dei gruppi che rischiano di subire forme di emarginazione sociale. Sulle potenzialità della pratica sportiva a favore dell’integrazione, l’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr ha svolto, tra il 2016 e il 2017, un progetto  per conto del Coni, fornendo una fotografia dei praticanti e raccogliendo dati estremamente interessanti sul legame tra sport e inclusione.

“La quota di persone che fanno sport con continuità è passata, secondo i dati forniti dall’Annuario 2021 dell’Istat, dal 22% del 2011 al 27% del 2019 e, conseguentemente, il tasso di sedentarietà è arrivato a toccare il 36%, con 5 punti percentuali in meno rispetto al picco massimo negli ultimi 10 anni, anche se probabilmente nel 2020 e 2021 è leggermente aumentato”, riporta Loredana Cerbara del Cnr-Irpps. “Sono i più piccoli a praticare più sport, spesso perché accompagnati dai genitori. Tra gli 11 e i 14 anni (scuola secondaria di primo grado) la sedentarietà non arriva al 15%, tra 15 e 17 anni sale al 18% e, infine, tra 18 e 19 anni supera il 20%”.

Interessanti sono anche i dati del progetto relativi al legame tra sport e integrazione. “I risultati, anche se si tratta di una rilevazione di qualche anno fa, continuano a essere attuali perché il principale - e per alcuni versi inatteso - risultato è il fatto che sembrano essere più aperti all’integrazione i sedentari e che non c’è una differenza significativa tra praticanti sportivi e non praticanti. La motivazione risiede nelle caratteristiche degli sportivi e non è certamente da addebitare alla pratica sportiva”, spiega la ricercatrice.

Bambini in bicicletta

Ma sono anche altre le informazioni emerse a seguito dell’indagine dell’Istituto del Cnr.  “Le differenze maggiori tra gli sportivi sono relative al genere, perché le ragazze sono meno attive (circa il 6% in meno rispetto ai ragazzi, ma anche al contesto sociale di provenienza, dal momento che i ragazzi provenienti da famiglie con background migratorio risentono di maggiori ostacoli alla  pratica sportiva”, continua Cerbara. “Ne consegue che le più svantaggiate sono le ragazze di origine straniera, che però sono anche quelle con minori resistenze all’integrazione. È percezione diffusa tra i ragazzi più piccoli (11-14 anni) che lo sport sia sinonimo di divertimento con i propri amici (76%) e che riesca a farti sentire parte di una squadra (61% femmine e 54% maschi). Ma sono in pochi a definirlo come un vero e proprio luogo di uguaglianza (23% femmine e 21% maschi)”.

Questi dati sono stati confermati  di recente, almeno come tendenza,  dall’Osservatorio sulle tendenze giovanili (Otg) del Cnr-Irpps gruppo Musa (Mutamenti sociali, valutazione e metodi) che ha in corso un’indagine nazionale sugli studenti delle scuole secondarie di secondo grado. “Si nota ancora una certa coicidenza tra fare sport ed essere leggermente meno tolleranti verso la diversità, ma anche verso l’uguaglianza di genere, anche se  le differenze tra sportivi e non sportivi sono di poco rilievo”, precisa l’esperta. “A titolo di esempio, per mostrare come le differenze siano ridotte ma non siano a favore degli sportivi, si può  dire che il 64% di chi pratica sport ritiene che gli immigrati siano una fonte di arricchimento culturale per il nostro Paese, mentre tra i sedentari questa percentuale sfiora il 69%”.

E non basta praticare sport neppure per essere più aperti nell’includere amici e amiche nella propria rete amicale. “Circa 1 su 3 tra le ragazze e i ragazzi, sia sportivi che non sportivi, è pervaso da stereotipi di genere e verso gli stranieri. Però la pratica sportiva si conferma come un’occasione incredibile per fare amicizia (un amico su quattro è conosciuto facendo sport per i ragazzi di 15-19 anni) ed è un momento educativo estremamente potente perché si impara ad agire secondo regole precise”, conclude Cerbara. “Probabilmente basta fare uno sforzo in più per rendere la pratica sportiva più efficace dal punto di vista dell’integrazione sociale: migliorare la didattica ed estenderla, oltre che all’insegnamento delle regole dello sport, anche alla veicolazione delle regole di buona convivenza sociale”.

Fonte: Loredana Cerbara, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, e-mail: loredana.cerbara@irpps.cnr.it