La ricerca di forme di vita su Marte, il quarto e il più esterno dei pianeti rocciosi posizionati nella fascia interna del sistema solare, è uno dei principali obiettivi delle missioni spaziali dagli anni Settanta del secolo scorso a oggi. Il 18 febbraio scorso, dopo aver percorso 470 milioni di chilometri, è atterrato sul Pianeta Rosso il rover Perseverance, progettato dalla NASA in collaborazione con l'Agenzia spaziale europea, con l'obiettivo di cercare qualsiasi traccia di vita microbica esistita miliardi di anni fa, di esplorarne la geologia e l'abitabilità marziane. Il robot è atterrato nel cratere Jezero, “lago” in lingua slava, largo quasi 50 chilometri: una zona scelta in base alle ricerche svolte negli ultimi anni, dove i ricercatori ritengono ci possa essere stata la foce di un corso d'acqua che avrebbe contenuto sedimenti e minerali utili per alimentare microbi e forse altre forme di vita. Nel suo passato, il pianeta probabilmente ricordava la Terra: era parzialmente ricoperto da acqua ed era meno brullo e inospitale rispetto a come appare oggi. “Nella prima era geologica marziana, nota come periodo Noachiano, tra 4.1 e 3.7 miliardi di anni orsono, Marte presentava una biosfera primitiva del tutto analoga a quella terrestre, con corsi d'acqua, mari e bacini lacustri in un territorio caratterizzato da un'intensa attività vulcanica, da una discreta pressione atmosferica e da temperature ben superiori alle attuali”, spiega Vincenzo Rizzo, tra gli autori di “Life on Mars: Clues, Evidence or Proof?”, articolo pubblicato in questi giorni su Intechopen.com. “Col successivo periodo geologico, da 3.6 a 2.8 miliardi di anni fa, e poi nell'Era Amazzoniana, da 2.8 miliardi di anni fa a oggi, la superficie marziana subì una graduale riduzione dei livelli termici e un progressivo inaridimento del suolo, con l'atmosfera che si dissolse e le vene acquifere che sparirono, ancorché ancor oggi esistenti a livello sotterraneo”.