Eppur si muove, Elt prova la cupola
Roberto Tamai, capo progetto del telescopio Elt, in costruzione in Cile per l’Eso, spiega il contributo italiano a questo grande progetto scientifico multilaterale, con il quale si punta a svelare la parte più antica dell’Universo e a cercare segni di vita extraterrestre
Un gigante da 3.400 tonnellate, con una base dal diametro di circa 50 metri. Queste le dimensioni dell’Extremely large telescope (Elt) il più grande telescopio ottico mai concepito dall’uomo, oggi in costruzione per lo European Southern Observatory (Eso) in Cile, sul Cerro Armazones. I lavori, rallentati dal Covid, avanzano ora spediti. L’enorme cupola che coprirà le ottiche, realizzata dal consorzio Ace a guida italiana (Cimolai), si è appena mossa per la prima volta. Il direttore del programma Elt è Roberto Tamai, ingegnere meccanico laureato a Napoli. È lui che, dopo un periodo all’Istituto motori del Cnr, una specializzazione a Berkeley, una bella carriera in Eso, coordina oggi lo sviluppo di questo enorme telescopio. “Veder muovere la cupola è stata davvero un’emozione, dopo tanti progetti e lavoro!”
Elt è una sfida tecnologica davvero molto complessa, che vede coinvolti 16 Paesi. L’Italia è in prima fila. Nell’Eso l’Italia è rappresentata dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale contribuisce al budget dell’organizzazione con una quota pari al 12%.
Spiega Tamai: “Elt avrà un’ottica di cinque specchi, tecnologicamente futuristici. Il più grande avrà una dimensione di 39,2 metri: 798 elementi esagonali di circa 1,5 m, controllati da attuatori e sensori che dovranno posizionarli con un nm di precisione (10-9m). Lo specchio secondario, uno specchio ‘classico’ convesso di 4 m, sarà il più grande mai costruito; il quarto sarà fatto di segmenti spessi solo 1,9 mm: dovrà essere capace di deformarsi per rimuovere adeguatamente il disturbo atmosferico; il quinto e ultimo specchio sarà quello più difficile da realizzare, dovrà essere leggero ma estremamente rigido. Sarà fatto da 6 petali, sui quali dovrà essere deposta una cappa di vapori di carbonio. Il sistema ottico avrà una risoluzione altissima, capace di analizzare nel dettaglio la luce di una candelina da 900 km di distanza (Milano-Palermo).
L’Eso ha già in Cile sul Paranal 4 telescopi da 8 m e altri 2, più piccoli, posti a circa 2.640 m di altitudine, ma il Cerro Armazones, dove sorgerà Elt è ancora più in alto, a 3.000 m. “È un luogo speciale”, spiega Tamai, “il cielo è assolutamente pulito, privo di inquinamento luminoso e con un’umidità del solo 5%”.
Elt (foto Eso)
Per eliminare le perturbazioni comunque presenti dell’atmosfera lo specchio n. 4 dovrà essere “adattivo”, capace di vibrare. L’Italia è responsabile di questa parte importantissima del telescopio, in fase di assemblaggio presso il consorzio composto da ADS international e Microgate (Adoptica).
Italiano sarà anche Morfeo, ottica adattiva per Micado, camera fotografica nel visibile che sarà associata al telescopio, e italiano sarà lo strumento Andes, con il quale si punta a fare successivamente la spettroscopia dell’atmosfera degli esopianeti.
Ma cosa ci svelerà questo grande telescopio una volta entrato in funzione? Cosa potrà fare meglio dei telescopi spaziali Webb e Hubble? “Lo strumento che entrerà in funzione per il 2028 aprirà una nuova finestra sull’Universo”, spiega Tamai. “Potremo raggiungere le stelle più flebili e lontane, che si sono formate 300 milioni di anni dopo il Big Bang e cercare di capire come questo sia avvenuto. Potremo risolvere e fotografare direttamente gli esopianeti. Oggi li riveliamo per il loro orbitare, che oscura ciclicamente la stella attorno alla quale ruotano, o per le oscillazioni del centro di gravità della coppia stella-pianeta. Elt distinguerà invece la luce diretta, potremo non solo fotografare i pianeti, ma anche analizzarne spettroscopicamente l’atmosfera, per capire se contiene acqua, clorofilla, segni di una possibile vita extraterrestre”.