Focus: Parchi letterari

C'era una volta il lavoro

lavoro
di Marina Landolfi

Lo sviluppo economico-sociale per il benessere collettivo. È questo il mondo del lavoro italiano dal secondo dopoguerra raccontato nei suoi libri da Paolo Volponi. Un’evoluzione che si è arrestata negli ultimi anni a causa della crisi, che ha reso l'occupazione sempre più frammentata e precaria

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Paolo Volponi, a cui è dedicato il parco letterario delle Marche, non fu solo scrittore, ma anche politico e manager. Tale esperienza fu per lui motivo di ispirazione letteraria e oggetto di riflessione sulle implicazioni dello sviluppo economico e sociale del nostro Paese nel secondo dopoguerra. Volponi ha raccontato il mondo contadino e i rapporti tra città, industria e mercato del lavoro nella fase d’oro dell’industrializzazione italiana, quando il lavoro da agricolo passò alle grandi fabbriche, con tempi di produzione e rapporti lavorativi del tutto nuovi.

“Il passaggio dal lavoro nei campi alle grandi industrie del dopoguerra riassumeva i caratteri della trasformazione in atto: sia in positivo, con l’aumento di opportunità e benessere, sia in negativo, con il modello fordista-taylorista dell’organizzazione del lavoro”, spiega Mario Nosvelli dell’Istituto di ricerca sull’impresa e lo sviluppo (Ceris) del Cnr di Milano. “Volponi ricoprì responsabilità chiave nella Olivetti, impresa pioniera dell’innovazione italiana nel mondo, ma anche modello di gestione innovativa dei rapporti di lavoro”.

lavoro post secondo dopoguerra

Le crisi cicliche degli anni '70 e la recessione strutturale iniziata nel 2008 hanno reso sempre più difficili le condizioni del mercato del lavoro. “I tassi di disoccupazione, che per giovani e donne superano anche il 50%, pongono la questione dell’occupazione sotto una luce diversa da quella che Volponi sperimentò. Federico Zia in un articolo del 2008 ha parlato di 'disintegrazione' del lavoro: dalla contrattualità agli orari, dai luoghi alle modalità di esecuzione”, precisa il ricercatore. “Sono aumentati i working poor, i lavoratori che non riescono a sostenersi con il proprio reddito, sono ormai circa mezzo milione (Istat 2011) i lavoratori 'digitali’, che hanno una laurea, lavorano al pc e non nell’industria, ma al pari dei loro nonni che stavano in fabbrica, spesso svolgono mansioni ripetitive e alienanti sottopagate”.

Un altro problema da affrontare è lo scoraggiamento e la perdita di fiducia, soprattutto da parte dei giovani. “Nel 2013, 2,5 milioni di giovani dai 15 ai 29 anni, i cosiddetti neet, non erano né occupati né in formazione, ma a forte rischio socio-economico”, conclude Nosvelli. "Una via d’uscita potrebbe essere il tentativo di far riemergere il senso edificante del lavoro, che sembra soccombere sotto i vincoli finanziari. Per Volponi lo sviluppo economico-sociale era legato alla convergenza degli interesse di capitale e lavoratori, in cui ciascuno contribuiva al benessere collettivo.

Fonte: Mario Nosvelli, Istituto di ricerca sull'impresa e lo sviluppo, Milano, tel. 02/23699514 , email m.nosvelli@ceris.cnr.it -

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