Le crisi cicliche degli anni '70 e la recessione strutturale iniziata nel 2008 hanno reso sempre più difficili le condizioni del mercato del lavoro. “I tassi di disoccupazione, che per giovani e donne superano anche il 50%, pongono la questione dell’occupazione sotto una luce diversa da quella che Volponi sperimentò. Federico Zia in un articolo del 2008 ha parlato di 'disintegrazione' del lavoro: dalla contrattualità agli orari, dai luoghi alle modalità di esecuzione”, precisa il ricercatore. “Sono aumentati i working poor, i lavoratori che non riescono a sostenersi con il proprio reddito, sono ormai circa mezzo milione (Istat 2011) i lavoratori 'digitali’, che hanno una laurea, lavorano al pc e non nell’industria, ma al pari dei loro nonni che stavano in fabbrica, spesso svolgono mansioni ripetitive e alienanti sottopagate”.
Un altro problema da affrontare è lo scoraggiamento e la perdita di fiducia, soprattutto da parte dei giovani. “Nel 2013, 2,5 milioni di giovani dai 15 ai 29 anni, i cosiddetti neet, non erano né occupati né in formazione, ma a forte rischio socio-economico”, conclude Nosvelli. "Una via d’uscita potrebbe essere il tentativo di far riemergere il senso edificante del lavoro, che sembra soccombere sotto i vincoli finanziari. Per Volponi lo sviluppo economico-sociale era legato alla convergenza degli interesse di capitale e lavoratori, in cui ciascuno contribuiva al benessere collettivo.
Fonte: Mario Nosvelli, Istituto di ricerca sull'impresa e lo sviluppo, Milano, tel. 02/23699514 , email m.nosvelli@ceris.cnr.it -