Tempus fugit, ma non per tutti
Nella comunicazione della scienza si fa spesso riferimento ai tempi futuri, non troppo vicini e non troppo lontani. Il 2050 è per esempio il traguardo al quale tendere con politiche virtuose e urgenti che sappiano garantire il futuro del Pianeta. Ma il tempo non è percepito da tutti allo stesso modo. Ne abbiamo parlato con Sandro Fuzzi dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima
“Tra dieci anni circolerà solo un decimo delle auto attuali”. “Nel 2030 produrremo energia con la fusione nucleare”. “Tra 10 anni avremo un'Intelligenza artificiale per ogni cosa”. Nella comunicazione della scienza si danno tempi e si fanno previsioni. I traguardi a dieci o vent'anni sono i più comuni: abbastanza lontani, ma comunque accettabili per suscitare interesse e aspettative. “Di tumore al polmone tra 10 anni non si morirà più”, scriveva un autorevole quotidiano nel 2004. “Per sconfiggere il cancro ci vorranno 15 anni”, si correggeva nel 2005. Di cancro oggi purtroppo si muore ancora: nel 2020 si contano 10 milioni di morti.
Viene da chiedersi allora quanto valgano le previsioni della scienza, almeno quelle riportate dai media. Il tema è importante, la ricerca scientifica richiede finanziamenti ed è inevitabile che cittadini, istituzioni nazionali e internazionali attendano un ritorno per capire come è stato speso il denaro, quali sono prospettive e sviluppi. Si tratta tuttavia di un problema complesso. Il difficile rapporto tra i tempi della scienza, spesso lunghi e imprevedibili, e quelli brevi e stratificati della vita umana è stato affrontato da molti studiosi, epistemologi, filosofi: un esperimento scientifico può essere ripetuto, è preciso e misurabile, il tempo della vita è invece una serie di attimi irripetibili dalla durata diversamente percepita da ciascuno. “Non appena usciamo dagli schemi in cui il meccanicismo e il finalismo radicale costringono il pensiero, la realtà ci appare come un'esplosione continua di novità”, scriveva Henri Bergson (1859-1941), esponente di spicco dello spiritualismo evoluzionistico. La comunicazione scientifica deve confrontarsi con la percezione umana della realtà, occorre saper proiettare sui tempi della vita concreta fatti che appartengono a dimensioni temporali diverse, come quelli della natura o della scienza, rendendoli comprensibili, interessanti e umanamente rilevanti per la storia di ciascuno di noi.
Uno dei temi di cronaca e di scienza più direttamente interessati dalla dimensione temporale è quello del riscaldamento della terra e del cambiamento climatico. Vi sono conseguenze dell'attuale livello di immissione in atmosfera di gas serra che si manifesteranno drammaticamente nei decenni futuri, e che saranno irreversibili su scale temporali dell'ordine delle centinaia di anni; ma se i problemi arriveranno domani, occorre agire oggi. La data del 2050 per il raggiungimento delle emissioni zero (net zero) è al centro dell'attenzione internazionale. Ha il vantaggio di lasciare abbastanza tempo ai Paesi per intervenire concretamente, ma senza far uscire il problema dai radar della vita umana e dell'azione politica.
Chi ha fissato questa data limite e perché? Il 2050 è un punto di arrivo stabilito da una Strategia a lungo termine della Commissione europea pubblicata nel 2018 e rilanciata dalla Nazioni unite nel 2019. Ci siamo dati un tempo e un obiettivo chiaro. Ma se arrivati al 2050 il net zero planetario non sarà raggiunto, cosa accadrà? “La temperatura superficiale globale della Terra continuerà ad aumentare in tutti gli scenari di emissione considerati, ma per restare nel limite di 1,5° potremo emettere, fino alla fine del secolo, non più di 300 miliardi di tonnellate di CO2”, spiega Sandro Fuzzi dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima (Isac) del Consiglio nazionale delle ricerche, che ha partecipato alla stesura degli ultimi tre rapporti dell'Intergovernmental panel for climate change (Ipcc) delle Nazioni unite. “Se supereremo queste emissioni i tempi futuri saranno caratterizzati da ondate di calore sempre maggiori, precipitazioni intense, siccità, scioglimento dei ghiacciai e innalzamento del livello del mare. I tempi futuri, se non si interviene, saranno sicuramente molto diversi da quelli di oggi, e per larga parte della popolazione mondiale drammatici”.
Ma una percezione dell'urgenza diversa dalla nostra è quella di Cina e India, che condividono la necessità di sfamare oggi circa 2,8 miliardi di persone e che, assieme alla Russia, hanno posticipato il traguardo del “net zero” di dieci e vent'anni. “Le posizioni di questi Paesi sono certamente discutibili, ma comprensibili”, spiega il ricercatore. “I Paesi che oggi chiamiamo sviluppati hanno inquinato per due secoli. Dall'inizio della rivoluzione industriale sono state immessi in atmosfera 2.400 miliardi di tonnellate di CO2, quasi tutti prodotti direttamente o indirettamente da loro. I Paesi in via di sviluppo, anche la Cina si considera tale, non sono oggi disposti a rinunciare all'opportunità di una costante crescita delle loro economie”.
L'allarme sul clima degli scienziati e l'invocazione ad agire dei maggiori leader della Terra non cambiano le posizioni di questi tre Paesi, che restano scettici sull'urgenza di arrivare entro il 2050 a zero emissioni. Rispetto a Europa e Stati Uniti, il tempo da loro percepito - o per dirla con il termine usato da Bergson “la durata” percepita del tempo che resta a disposizione - è diversa, perché diverso è il contesto sociale ed economico nel quale questa è valutata. Si va dal 2060 fissato da Cina e Russia al 2070 indicato dall'India. Fatto sta che per la natura il tempo non è soggetto a interpretazioni, e scorre senza fermarsi.
Fonte: Sandro Fuzzi, Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima, Bologna, tel. 051/6399559 , email s.fuzzi@isac.cnr.it -