Pnrr: chance irrinunciabile
Il responsabile a Bruxelles dell'Ufficio relazioni europee e internazionali del Consiglio nazionale delle ricerche esamina le opportunità che il Piano nazionale di ripresa e resilienza offre al nostro Paese nel settore della ricerca. Per non sprecarle, è necessario però che l'Italia investa nell'istruzione e nelle competenze tecniche, scientifiche e digitali, fondamentali per l'innovazione
Partendo dal titolo di questa breve analisi chiarisco la mia posizione che propende per la prima ipotesi, ma a una condizione, che è quella che i vertici Ue ricordano continuamente ai Paesi, soprattutto a quelli più indisciplinati: serietà e riforme strutturali. Per andare a identificare di quali riforme si tratti e in quali settori intervenire non occorrono capacità di premonizione o la sfera di cristallo: periodicamente infatti, nel contesto dello strumento chiamato “semestre europeo” (che riporta lo stato di salute dell'Ue), la Commissione invia a ogni Stato membro delle Specific Country Recommendations (Src), che fotografano le carenze strutturali di quel Paese e indicano le misure da porre in essere per superarle. Non dimentichiamo che da questa fotografia scaturisce indirettamente anche il rating dei Paesi, ovvero l'indice di appetibilità per gli investitori stranieri e per i mercati.
Concentrandoci nel settore di nostra competenza emergono con chiarezza due evidenze strettamente correlate, sulle quali il Pnrr potrebbe utilmente intervenire: l'istruzione è una sfida cruciale soprattutto nel Sud dell'Italia, con conseguenze negative sulla qualità delle competenze; gli investimenti nelle competenze tecniche, scientifiche e digitali, benché fondamentali per l'innovazione, restano scarsi.
Rispetto alla media Ue l'Italia ha un tasso molto più elevato di dispersione scolastica, in particolare nel Sud, con un corpo insegnante insufficiente e difficile da attrarre, selezionare e motivare (riconducibile anche a una retribuzione non adeguata e statica come evidenziato dalle Scr). Ne consegue che la percentuale di persone che hanno completato il ciclo di istruzione superiore rimane bassa e il numero di laureati nei settori tecno-scientifici è assolutamente insufficiente. In sostanza, in Italia non sono ancora considerati attrattivi i corsi di laurea in discipline cosidette Ste(a)m, probabilmente perché non vi è stata costruita una narrativa di contorno, e perché, come per il corpo insegnante, i salari sono generalmente poco appealing. Rispetto alla media Ue, l'Italia riferisce una percentuale inferiore di laureati in scienze e ingegneria (12,2 % contro 15,5 %).
L'istruzione superiore, come pure il comparto ricerca, risentono di una perdurante insufficienza di finanziamenti e di carenze di organico; anche gli investimenti nelle competenze tecniche, scientifiche e digitali, benché fondamentali per l'innovazione, restano scarsi. Partendo da questo scenario la Missione 4 del Pnrr, per intenderci quella che ha come titolo “Istruzione e Ricerca”, ha un compito importante per colmare le lacune e affrontare le debolezze sopra evidenziate. Scorrendo il documento, sia le riforme, sia gli investimenti, sia le linee di azione sembrano andare nella giusta direzione ma, come ricordato in premessa, occorre estrema serietà.
Il Recovery plan è infatti un'iniezione straordinaria di soldi e obiettivi. Proprio perché straordinario ha carattere di unicità ed è un'occasione che va sfruttata, soprattutto dal nostro Paese, per quei miglioramenti strutturali che l'ordinario non è riuscito a fare a causa della politica della “coperta corta”, che ha privilegiato interventi nei settori più immediatamente forieri di popolarità e gratificazione mediatica, tra i quali non rientrano sicuramente la ricerca e l'innovazione. Occorre al contempo non farsi trascinare nello stato di euforia a cui tutta questa disponibilità può indurre, con il rischio di disperdere la dotazione che l'Ue ci metterà a disposizione in mille rivoli (come spesso accade per i fondi di coesione) di poco impatto e con risultati tampone a breve termine. Il pre–requisito della serietà l'Italia lo ha assolto con la presentazione alla Commissione del suo Pnrr che ha ricevuto la luce verde per la prima tranche di finanziamenti (previsti tra fine maggio e i primi di luglio)
Ma l'altra vera sfida - cartina di tornasole della serietà - sarà l'attuazione di quanto programmato nel documento approvato dall'esecutivo Ue. Nell'atmosfera di euforia diffusa, sembra quasi che i fondi arriveranno da Bruxelles in uno scatolone pronti a essere spesi, tralasciando che le riforme strutturali dovranno essere attuate e gli investimenti realizzati entro i tempi previsti e in maniera complementare a quanto pianificato dalle ordinarie politiche settoriali nazionali.
Il rischio che corriamo è quindi di doppia natura (tripla se aggiungiamo la figuraccia in mondovisione). In primo luogo, i fondi sono a rischio se gli obiettivi concordati non sono stati raggiunti, con modalità di recupero proporzionali che possono arrivare fino all'intero prefinanziamento. Ma il pericolo maggiore è di fallire in quelle riforme strutturali che possono consentire alle future generazioni di crescere in un Paese sano e solido, come un fondatore del G7 deve essere.
Fonte: Luca Moretti, Ufficio relazioni europee e internazionali del Cnr a Bruxelles, tel. luca.moretti@cnr.it -