Verso la Cop21: la politica fa, ma non abbastanza
L'attenzione al tema dei cambiamenti climatici è aumentata, come dimostra l'accordo Usa-Cina per la riduzione delle emissioni di gas serra. In molte nazioni però gli sforzi sono ancora scarsi e non permettono di tenere l'aumento della temperatura al di sotto dei 2 °C stabiliti
In questi ultimi mesi sembra che l’attenzione istituzionale internazionale sul tema dei cambiamenti climatici sia aumentata, dopo un periodo di minor interesse. Nelle settimane precedenti l’inizio della Conferenza Onu sul clima di Parigi, chi si occupa di ambiente ha potuto incassare con soddisfazione il risultato del recente incontro di Washington tra Barack Obama e il Presidente cinese Xi Jinping, in cui i due capi di stato hanno ribadito l’impegno assunto l’anno precedente, relativo a una riduzione congiunta delle emissioni dei gas serra. La Cina ha poi annunciato un’ulteriore iniziativa: dal 2017 si instaurerà nel paese un sistema di 'cap & trade’, che dovrebbe facilitare il raggiungimento degli obiettivi nazionali in materia di emissioni. A livello di politica interna, queste novità consentono al presidente statunitense di togliere dal tappeto la maggiore obiezione mossa dai repubblicani contro il taglio delle emissioni negli Usa, cioè l’inazione della Cina, anche se difficilmente potrà far passare l’idea di un accordo legalmente vincolante.
A questo accordo di massima si aggiunge il grande apporto dato alla discussione su questi temi da parte di un’autorità morale come papa Francesco. Il pontefice ha infatti scritto e divulgato un’enciclica in cui l’argomento dei cambiamenti climatici è al centro di un discorso a tutto tondo sul rapporto tra gli uomini e l’ambiente, e in cui i temi dello sviluppo per eradicare la povertà ancora presente in tante aree del pianeta sono intimamente legati alla sostenibilità ambientale, in una visione ecologica integrale che coinvolga l’uomo, la natura e le loro inestricabili relazioni.
In vista dell’inizio della Cop21 di Parigi, tuttavia, bisogna essere più concreti e andare a vedere quali siano i numeri sul tappeto delle riduzioni. In questo senso, bisogna premettere che da qualche anno si è abbandonato l’approccio top-down alla soluzione dei problemi climatici, secondo il quale, una volta posto un obiettivo, ad esempio la limitazione a un massimo di 2 °C per il riscaldamento globale, si doveva suddividere l’impegno globale alla relativa riduzione delle emissioni tra tutti i paesi del mondo, decidendo specifiche e vincolanti politiche nazionali. Ciò, una volta ratificato l’accordo, garantiva teoricamente di raggiungere l’obiettivo.
Da qualche tempo, a causa delle difficoltà incontrate, a questo approccio se n’è sostituito uno bottom-up, che consiste semplicemente nel chiedere ai singoli stati di proporre la massima riduzione che possano ragionevolmente sostenere. Una volta ottenute queste proposte, si calcola la riduzione complessiva che così si ottiene. È chiaro però che questo approccio non garantisce di raggiungere l’obiettivo globale indicato come necessario.
Al momento ci troviamo nella situazione in cui le nazioni che hanno presentato le proprie proposte, i cosiddetti Indc (Intended Nationally Determined Contributions), coprono circa il 90% delle emissioni globali. In alcuni casi i loro sforzi paiono ambiziosi, ma talvolta invece sono piuttosto limitati: il risultato è che certamente la somma di tutti gli impegni alle riduzioni non consentirà di rimanere sotto la soglia dei 2°C di aumento della temperatura globale, anche se dovrebbe consentire di invertire la tendenza verso il 2025-2030.
In sostanza, a Parigi molto probabilmente ci sarà un accordo, perché il mondo se lo aspetta e molti leader si sono impegnati per raggiungerlo, ma difficilmente sarà legalmente vincolante e risolutivo per il problema dei cambiamenti climatici.
Fonte: Antonello Pasini, Istituto sull'inquinamento atmosferico del Cnr, tel. 06/90672274 , email pasini@iia.cnr.it -