Focus: Infodemia Covid-19

Anche al Cnr si cerca una cura

Copertina
di Patrizio Mignano

 L'Istituto di biostrutture e bioimmagini del Cnr di Napoli tenta di identificare i responsabili molecolari dell'infettività e della patogenicità del nuovo Coronavirus e di capire con quali meccanismi agiscono, per progettare una possibile risposta vaccinale o farmacologica. Ce ne parla la ricercatrice Rita Berisio

Pubblicato il

Un lavoro costante vede impegnati dal 30 gennaio scorso, da quando cioè l'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato l'emergenza internazionale da Coronavirus, gli studiosi dell'Istituto di biostrutture e bioimmagini (Ibb) del Cnr di Napoli nello studio dei meccanismi alla base delle infezioni del Covid-19 e della sua diffusione. “Se l'arma finale per sconfiggerlo sarà il vaccino a cui lavorano molti gruppi di scienziati in tutto il mondo, la strada più promettente per sbarrare il passo all'infezione è comprenderne bene il funzionamento per poter interferire con i meccanismi chiave dell'infezione”, spiega Rita Berisio, che guida al Cnr-Ibb il team di ricerca internazionale e che da oltre vent'anni è impegnata nello studio dei meccanismi molecolari alla base di malattie infettive. “Con il mio gruppo, che si occupa di malattie respiratorie, abbiamo iniziato a studiarlo non appena abbiamo avuto a disposizione le sequenze geniche delle proteine del virus. Un passo fondamentale, altrimenti non avremmo saputo da dove partire. Il Covid-19 è molto infettivo se confrontato con altri Coronavirus ed è per questo che è necessario tenere alta l'allerta. Basta pensare che in poco più di due mesi ci sono stati, a oggi, quasi centomila contagi nel mondo”.

Un punto di partenza degli scienziati napoletani è stato uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Texas University, pubblicato sulla rivista “Science”, dal quale è emerso che - come il virus della Sars, cugino molto stretto di Covid-19 e per questo ribattezzato Sars-Cov2 - il Coronavirus usa una proteina detta “spike” per ancorarsi alla serratura delle cellule umane. “Questo virus si lega in maniera più forte ai recettori umani, detti Ace2, quindi c'è una ragione molecolare che lo rende più contagioso. Tra le varie strade intraprese, stiamo cercando di sviluppare molecole in grado di inibire l'attacco del virus rendendolo meno offensivo. L'interazione tra le spike del virus e i recettori Ace2, infatti, è così importante che alcuni organismi, per esempio i ratti, non si infettano perché presentano un recettore Ace2 un po' diverso dal nostro”, prosegue la ricercatrice. “A spiegare l'elevata diffusione del virus c'è anche il fatto che molti tra gli infettati non presentano sintomi gravi, immediatamente riconducibili al Coronavirus, e dunque inconsapevolmente espongono altre persone al contagio”.

Sui tempi per trovare la cura nessuno è in grado di fare una previsione precisa. “Bisogna sviluppare la molecola, poi effettuare i test preclinici e clinici. In questo momento nel mondo si lavora su più fronti con i farmaci antivirali già esistenti, studiando, inoltre, meccanismi molecolari diversi”; conclude Berisio. “Le alternative sono interferire con i processi replicativi del virus oppure bloccare l'attacco del virus alle cellule umane sviluppando molecole inibitrici”.

Patrizio Mignano

Fonte: Rita Berisio, Istituto di biostrutture e bioimmagini , email rita.berisio@cnr.it -

Tematiche
Argomenti