Uniti contro l'Ebola
L'epidemia del virus che ha colpito l'Africa preoccupa tutto il mondo. Per capire quanto sia grave e quali siano le possibilità di contrastarla, abbiamo chiesto chiarimenti a Giovanni Maga, virologo dell'Istituto di genetica molecolare del Cnr
Dal primo caso, documentato e riconosciuto nel dicembre 2013, Ebola, il virus appartenente alla famiglia delle 'Filoviridae’ e scoperto nel 1976 nella Repubblica democratica del Congo, allora Zaire, ha contagiato ufficialmente circa 6.000 persone di cui secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) la metà quasi decedute. Come fermare questa avanzata che sembra inarrestabile?
“Questo virus si può in realtà controllare facilmente”, spiega Giovanni Maga, virologo dell’Istituito di genetica molecolare (Igm) del Cnr di Pavia. “Il contagio avviene solo per contatto diretto con persone che mostrano già i segni della malattia: quindi evitarlo, con le giuste precauzioni, è tutto sommato semplice. Un farmaco non sarà però pronto domani”.
Riguardo al farmaco sperimentale ZMapp, utilizzato per la prima volta sull'uomo durante l'infezione di Ebola che ha colpito l'Africa Occidentale quest'anno, bisogna andare con i piedi di piombo. “Al momento non esiste nessuna prova certa di efficacia, nonostante la guarigione di acluni pazienti sottoposti al trattamento" continua l’esperto. "Non sappiamo infatti se i due americani si sono ristabiliti spontaneamente: in questa epidemia, considerando i numeri, una persona su due ha sconfitto la malattia da sola. ZMapp peraltro non è un vaccino, è un cocktail di anticorpi che per fermare il virus deve essere somministrato in continuazione, in quanto l’organismo non attiva una risposta immunitaria”.
Una vera e propria terapia che abbia superato tutte la fasi sperimentali non esiste ancora, anche perché Ebola è un virus difficile da studiare: "A causa della sua virulenza può essere trattato e analizzato solo in pochi laboratori precisa Maga. Inoltre, per le case farmaceutiche non c’è mai stato finora interesse a trovare soluzione dal momento che in 30 anni il numero di individui infetti è stato pari a quello dell'epidemia che in pochi mesi, dal dicembre 2013, dalla regione della Guinea sub-orientale si è diffusa in Liberia, Serra Leone, Nigeria e Senegal. Attualmente, due vaccini stanno per entrare in fase sperimentale sull’uomo e due farmaci saranno testati entro il prossimo anno”.
Il fatto che non esista una cura ha scatenato una sorta di terrorismo psicologico quando, da alcune intercettazioni, è emerso che i fondamentalismi islamici dell’Isis (Islamic State of Iraq and Syria), sarebbero intenzionati a usare questo virus come arma biologica. Il ricercatore dell’Igm-Cnr però rassicura: “Il virus fa particolarmente paura e perciò fa breccia a livello mediatico. Ma dal punto di vista strategico sarebbe un pessimo agente per una guerra biologica: non è facile da maneggiare e non ci sono metodi per renderlo disponibile in polvere, come l’antrace. Inoltre i segni della malattia, nella fase in cui è contagiosa, non possono essere tenuti nascosti, pertanto anche l’uso di kamikaze infetti è poco attendibile”.
Le prospettive di cura contro l’Ebola comunque esistono. “Quest’ultima epidemia ci ha messo di fronte a una situazione sul campo molto difficile e ha costretto a trovare soluzioni, mettendo insieme, attorno a un tavolo, i diversi attori implicati: associazioni umanitarie, governi e organizzazioni internazionali. E questo è un fatto positivo”, conclude Maga.
Anna Maria Carchidi
Fonte: Giovanni Maga, Istituto di genetica molecolare, Pavia, tel. 0382/546354 , email giovanni.maga@igm.cnr.it -