Focus: Sotto sotto

In fondo al mare una discarica

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di Patrizio Mignano

Elettrodomestici, giocattoli e persino parti di un'automobile. È quanto emerge da uno studio condotto sui fondali dello Stretto di Messina dall'Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino (Ias) del Cnr in collaborazione con l'Università Sapienza di Roma, pubblicato sulla rivista “Scientific Report”. Ne abbiamo parlato con la ricercatrice del Cnr-Ias Martina Pierdomenico

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In alternativa al ponte sullo Stretto di Messina si ipotizza talvolta con insistenza di realizzare un tunnel, come opera per unire l'Italia peninsulare alla Sicilia. Ai mille problemi legati alla realizzazione di queste infrastrutture e alle diverse posizioni e ragioni a favore o contro la costruzione si aggiunge un ulteriore elemento di riflessione: la presenza sui fondali dello Stretto di un'immensa discarica sottomarina. Una ricerca condotta dall'Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino (Ias) del Cnr e dall'Università Sapienza di Roma pubblicata sulla rivista “Scientific Report” ha infatti mostrato la presenza di grandi quantità di rifiuti nei canyon sottomarini dello Stretto. Questa stima ha trovato ora conferma in un recente lavoro di revisione pubblicato sulla rivista “Environmental Research Letter” e coordinato dall'Università di Barcellona.

Miquel Canals, a capo del gruppo di lavoro dell'ateneo catalano, sostiene che i rifiuti solidi presenti sotto il mare “sono molto più abbondanti nella parte vicina alle coste siciliane, segno di un legame diretto tra la densità della popolazione e l'ammontare del degrado”. Il ricercatore considera quindi la responsabilità della popolazione un fattore decisivo, al quale si aggiungono i meccanismi di trasporto naturali che portano gli oggetti più pesanti verso i fondali più profondi. Canals e i suoi colleghi hanno raccolto informazioni da studi effettuati in diverse zone del mondo e li hanno confrontati. Quelli riguardanti lo Stretto di Messina provengono appunto dall'analisi dei tre ricercatori italiani: Martina Pierdomenico dell'Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino (Ias) del Cnr, Daniele Casalbore e Francesco Chiocci della Sapienza di Roma.

“Con l'aiuto di un Rov (Remotely Operated Vehicle), un robot sottomarino filoguidato e dotato di telecamere, è stato possibile documentare per la prima volta la presenza di grandi accumuli di rifiuti provenienti dai corsi d'acqua e veicolati a grandi profondità dai flussi gravitativi che si sviluppano lungo i canyon. Le immagini Rov hanno mostrato vere e proprie discariche sottomarine contenenti i più disparati oggetti di uso comune (incluso elettrodomestici, materiale da edilizia e persino un'automobile), con densità comprese tra 100.000 fino ad oltre 1 milione di oggetti/km2, che rappresentano le più alte concentrazioni di macrorifiuti finora osservate al mondo sui fondali marini”, afferma Pierdomenico.

Si stima che tra il 50 e l'80% dei rifiuti che giunge in mare provenga da fonti terrestri, mentre la restante parte da attività marine, e che la maggior parte di essi siano destinati a depositarsi sui fondali marini. Quello che osserviamo sulle spiagge rappresenta infatti solo una piccola percentuale dei rifiuti sversati, che costituiscono un tipo di inquinamento meno evidente ma non per questo meno problematico. I processi geologici che governano la distribuzione dei sedimenti sui fondali sono responsabili anche della distribuzione dei rifiuti, e in alcuni contesti specifici è possibile che tali detriti antropici vengano trasportati e concentrati ad alte densità.

“È il caso dei canyon sottomarini, profonde valli che incidono tutti i margini continentali del globo, vie preferenziali per il trasporto di sedimenti, masse d'acqua e sostanza organica dai settori costieri alle zone profonde, e attualmente considerati hotspot anche per l'accumulo di rifiuti nel mare profondo”, aggiunge la ricercatrice.

Tuttavia, a causa dei costi elevati e delle difficoltà tecniche legate alle esplorazioni in questi ambienti, gran parte dei fondali oceanici del globo non sono ancora stati investigati con indagini dirette ed è possibile che situazioni simili a quelle di Messina siano presenti anche in altre zone d'Italia e del mondo caratterizzate da un'intensa urbanizzazione costiera e contesti geologici simili. Le conoscenze sulla distribuzione e sull'abbondanza dei rifiuti sui fondali, soprattutto per quanto riguarda le zone di mare profondo, sono quindi ancora scarse e fortemente frammentate. “Anche i settori più profondi dello Stretto di Messina rimangono ancora inesplorati, sebbene alcuni campionamenti del fondale nel canale assiale che divide lo Stretto, a 1.100 metri di profondità, abbiano recuperato rifiuti solidi urbani tra cui parti di una cucina a gas, un mestolo e delle scarpe. È quindi molto probabile che i flussi gravitativi convoglino i rifiuti anche nelle porzioni più profonde dei canyon, magari concentrandoli in misura ancora maggiore di quanto già individuato”, conclude Pierdomenico.

Lo studio è stato condotto nell'ambito del progetto Ritmare, il progetto di ricerca nazionale sul mare coordinato dal Cnr.

Fonte: Martina Pierdomenico, Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino , email martina.pierdomenico@ias.cnr.it -

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