Global warming, andare oltre Kyoto
Il trattato internazionale in campo ambientale è stato di fatto poco efficace, sia per l'eseguità del limite posto per l'emissione di gas serra, sia per la mancata adesione di alcuni 'grandi inquinatori'
ll protocollo di Kyoto è uno dei pochi accordi internazionali che prevede l'applicazione del principio di precauzione per "ridurre le cause dei cambiamenti climatici e per minimizzare i suoi effetti negativi". Nel 1997, anche se le prove scientifiche sul ruolo dell'azione antropica nel riscaldamento globale erano più incerte di oggi, i paesi firmatari si impegnarono così a porre un limite all'immissione di anidride carbonica e di altri gas serra in atmosfera.
"Vale la pena rimarcare che le Nazioni Unite non usano la parola 'prevention' ma 'precaution', proprio perché la 'prevenzione' fa riferimento a un rischio preciso e statisticamente determinato in termini di distribuzione delle probabilità, mentre 'precauzione' indica un rischio, come appunto quello climatico, la cui quantificazione allo stato delle conoscenze scientifiche del tempo era piuttosto incerta", spiega Antonello Pasini dell'Istituto sull'inquinamento atmosferico (Iia) del Cnr di Roma.
Ne consegue che difficili da definire sono anche le applicazioni concrete di questo principio, che necessariamente investe diversi aspetti del vivere comune. "Tenendo a mente che quello di precauzione è un principio etico e non scientifico", prosegue il ricercatore dell'Iia-Cnr, "le scelte degli obiettivi da conseguire per evitare i cambiamenti climatici generati dalle attività umane non sono ovviamente definibili solo su presupposti scientifici, ma richiedono una base di valori condivisi, tra cui l'aspetto economico: qual è il livello di benessere che si vuole conseguire in relazione alla minaccia climatica e l'entità dei costi e dei benefici che si devono affrontare per prevenire le conseguenze paventate?".
Insomma al di là di ogni contrapposizione tra catastrofisti e negazionisti, il fenomeno è complesso e la scienza può e deve affrontarlo con i suoi strumenti, offrendo risposte che sono sempre in progress e via via meno incerte. "I rapporti causa-effetto sono oggi più evidenti di allora, e dunque 'l'immobilismo' è ancora meno giustificato", conclude Pasini. "Sarebbe già tanto se i paesi firmatari rispettassero l'impegno di Kyoto diminuendo le emissioni di gas serra, anziché aumentarle come alcuni stanno ancora facendo".
Il trattato è entrato ufficialmente in vigore ed ha assunto valore legale internazionale nel 2005. Prevede che gli stati aderenti diminuiscano in media del 5% entro il 2012 le emissioni di gas serra, con quote differenti da paese a paese. Tra i paesi aderenti i più virtuosi sono stati la Germania, con una riduzione delle emissioni del 21%, la Gran Bretagna (-20%) e la Francia (-9%). I più inefficienti, l'Australia (+57%), la Spagna (+29%) e il Canada (+24%). L'Italia ha diminuito le emissioni del 4% ma è ancora al di sotto del proprio obiettivo nazionale che è del -6.5%.
Tra i firmatari occidentali mancarono gli Stati Uniti, che addirittura dal 1990 hanno aumentato le emissioni del 20%, mentre Russia e Australia hanno aderito solo nel 2005 e nel 2007. Fuori dal protocollo sono poi rimasti Cina, India, Brasile e paesi in via di sviluppo, tra cui l'Africa che emette pochissimo ma che è anche il continente più vulnerabile. Si sta ormai pensando alla redazione di un nuovo protocollo che faccia partecipare tutti gli Stati alle azioni di riduzione delle emissioni, soprattutto quelli in rapidissimo sviluppo come la Cina e l'India.
L'aumento medio delle temperature è stato di circa 1,5° C negli ultimi 250 anni, e di circa 0,9 gradi negli ultimi 50 anni.
Fonte: Antonello Pasini, Istituto sull'inquinamento atmosferico, Monterotondo, tel. 06/90672274 , email pasini@iia.cnr.it -