Nati nella seconda metà degli anni ’80 per offrire nuove opportunità di socializzazione ai piccoli sotto i tre anni e un sostegno educativo per madri e padri, i Centri per bambini e famiglie (Cbf) accolgono i bimbi accompagnati dai genitori o da altri adulti familiari. Rappresentano un luogo di riferimento sul territorio, dove i bambini possono fare esperienze con altri coetanei in un contesto protetto e i genitori possono mettere a punto le proprie scelte educative nel confronto con quelle di altre famiglie.
“L’offerta dei Cbf è aumentata anche nel nuovo millennio, nonostante le difficoltà economiche e gestionali che hanno pesato in questi anni su tutto il settore dei servizi alla persona e in particolare su quello della prima infanzia” spiega Tullia Musatti, ricercatrice dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Consiglio nazionale delle ricerche. “Fino a oggi non era disponibile un quadro articolato della loro diffusione, delle specifiche caratteristiche e della funzione sociale che questi servizi svolgono nei diversi contesti territoriali”. A colmare questa carenza, l’indagine svolta dall’Istc-Cnr assieme all’Università di Milano-Bicocca (Centro interdipartimentale quasi-universiscuola).
Lo studio ha individuato 423 Cbf variamente distribuiti nei comuni del Centro e del Nord, ma denuncia che i centri, perlopiù gestiti da enti pubblici o da questi affidati a cooperative, non sono ancora diffusi nelle regioni meridionali. “Questo dato mette in luce quanto sia ineludibile la responsabilità dell’ente territoriale nel garantire e sostenere un sistema articolato di servizi in risposta ai bisogni delle famiglie e ai diritti dei bambini in tutto il paese", continua la ricercatrice. “La regione che presenta una maggior percentuale di comuni con almeno un Cbf, il 18,7%, è l’Emilia-Romagna, mentre Bergamo (57,1%) e Milano (21,4%) sono le province con il maggiore numero di comuni serviti. La diffusione è omogenea tra comuni di grande, media e piccola dimensione, inclusi quelli di poche migliaia di abitanti e dà risposta a bisogni che interessano la condizione sociale e psicologica di molti nella società moderna, non solo nelle metropoli”.
L’offerta dei centri non si è sviluppata in alternativa ai nidi d’infanzia, anche perché sono aperti solo per alcune ore al giorno e richiedono la presenza di un familiare, “ma sono entrati a far parte del sistema territoriale integrato di servizi per l’infanzia e ne sono oggi una componente importante, anche per la loro capacità di costruire percorsi di inclusione sociale” conclude Musatti.
Fonte: Tullia Musatti, Istituto di scienze e tecnologie della cognizione, Roma, tel. 06/44161530 , email tullia.musatti@istc.cnr.it