Focus: Terremoto in Giappone

Nucleare: dopo gli incidenti esplode il dibattito

tsunami
di Roberta Ribera

I problemi delle centrali giapponesi conseguenti al terremoto e allo tsunami hanno riaperto forti polemiche sulla sicurezza degli impianti. Ma va tenuto conto che i reattori nipponici sono di vecchia generazione e oggi esistono tecnologie più avanzate per limitare i rischi  

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Nucleare sì, nucleare no. Dopo lo spot promosso dal Forum nucleare condannato dal Giurì per l'autodisciplina pubblicitaria, a riaprire il sempre acceso dibattito tra i favorevoli e i contrari alla localizzazione degli impianti nucleari in Italia è l'eco del disastro in Giappone. Dopo la scossa da 9 gradi della scala Richter e il successivo, devastante tsunami che ha messo in ginocchio il Paese, i riflettori mediatici hanno illuminato gli incidenti che hanno colpito il complesso nucleare di Fukushima e che, inevitabilmente, riaprono in tutto il mondo la polemica sulla sicurezza.

"La scossa subita dall'arcipelago è confrontabile con quella che avrebbe prodotto lo scoppio simultaneo di oltre un milione di bombe di Hiroshima", spiega Valerio Rossi Albertini dell'Istituto di struttura della materia (Ism) del Cnr di Roma. "Dei 55 reattori nucleari di cui il Giappone è dotato per soddisfare un terzo della sua fame di energia, quattro del complesso di Fukushima, a nord est del Paese, hanno subito danni gravissimi".

Il primo effetto del sisma è stato il malfunzionamento dell'impianto di refrigerazione, che ha avuto come conseguenza lo sprigionamento di gas leggeri e combustibili che, galleggiando nell'aria, si sono accumulati sotto il tetto dell'edificio. Il successivo, ulteriore surriscaldamento ha prodotto l'accensione di tali gas, che sono esplosi abbattendo le mura esterne della sede del reattore. "Non un'esplosione nucleare, come hanno scritto alcuni giornali", specifica il fisico nucleare. "Un'esplosione chimica convenzionale, che non ha compromesso l'integrità del 'sarcofago', il bunker nel quale è contenuto il nocciolo caldo, ovvero il materiale radioattivo che funge da combustibile nucleare".

La fase successiva di intervento è consistita nel raffreddamento del nocciolo "che continua a sprigionare calore anche quando si sia spento il fuoco che l'ha prodotta", prosegue Albertini. "Metaforicamente, un reattore è come una pentola a pressione. Quando la temperatura diventa troppo alta, bisogna lasciar sfogare il vapore. Questo hanno fatto i tecnici di Fukushima. Tuttavia, se nella pentola ci sono cibi contenenti sostanze nocive, il vapore prodotto dall'acqua è contaminato e può trasportare una parte della sostanza. Nel nostro caso, il materiale radioattivo, per cui è stato immediatamente attivato il protocollo di evacuazione delle zone circostanti".

I reattori di Fukushima sono però di vecchia concezione: "Costruiti alla fine degli anni '60, sono molto più vulnerabili di quelli realizzati attualmente, che si avvalgono di quaranta anni di evoluzione tecnologica", spiega il ricercatore Ism-Cnr. "Tuttavia, i fatti di Fukushima non possono essere ignorati e, anzi, devono essere di monito: quando si ha a che fare con un reattore nucleare, i rischi sono svariati e potenzialmente molto seri, per cui la cautela è imperativa".

Dello stesso avviso il presidente del Cnr Luciano Maiani: "L'industria nucleare deve imparare da questi incidenti, deve sapersi migliorare, ma non dimentichiamo che stiamo parlando di una centrale, quella giapponese, costruita tanto tempo fa. Del resto non ci sono imprese a rischio zero: il crollo di una diga non ci fa smettere di produrre energia idroelettrica. Il problema fondamentale, riguardo alle centrali nucleari, è adottare tutte le tecnologie per delimitare i rischi e tenere sotto controllo questa forma di produzione energetica. Per questo sarebbe auspicabile che a livello europeo, al di là dei controlli intrapresi dai singoli Stati, si definissero linee guida e protocolli comuni sulla sicurezza".

Roberta Ribera

Fonte: Valerio Rossi Albertini, Istituto di struttura della materia, Roma, tel. 06/49934146 , email valerio.rossi@artov.ism.cnr.it -

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