150 anni di chimica italiana
In questa disciplina sono tre le figure di spicco: Giacomello, Liquori e Natta. Quest'ultimo, in particolare, ricordato da tutti come inventore della plastica; ha portato una significativa innovazione in questo campo
La storia della chimica nell'Italia unita ruota attorno ad alcune figure di grande spessore che, dal Sud al Nord, hanno ottenuto (o meritavano di ottenere) i massimi riconoscimenti.
Tali presupposti provengono da esperienze di studi sulla struttura della materia che nella prima metà del XX secolo esercitano sui ricercatori una particolare attrattiva a seguito della disponibilità delle prime macchine di diffrazione dei raggi X.
"Sono almeno tre gli studiosi che meritano una particolare menzione", sottolinea Mario Malinconico dell'Istituto di chimica e tecnologia dei polimeri (Ictp) del Cnr di Napoli. "Intanto Giordano Giacomello che già sul finire degli anni '30 fu, a livello nazionale, uno dei promotori della cristallografia a raggi X su cristallo singolo come mezzo d'indagine potente per affrontare problematiche di chimica strutturale anche di molecole organiche complesse".
Poco noto al grande pubblico è invece Alfonso Maria Liquori. "È stato uno dei migliori scienziati italiani del XX secolo", spiega Malinconico. "Chimico strutturista di formazione, fu tra i protagonisti della nascita della biologia molecolare: negli anni Cinquanta lavorò a lungo sulla struttura dell'emoglobina, studiando anche a Cambridge nel celebre Cavendish Laboratory, dove, sotto la direzione di Max Perutz, venne fondata la biologia molecolare strutturale, grazie ai contributi fondamentali di Watson, Crick, Kendrew e Perutz stesso".
Ma è sicuramente il ligure Giulio Natta (nella foto) a meritare il posto di maggior rilievo. "Premio Nobel per la Chimica nel 1963", continua il ricercatore dell'Ictp-Cnr, "con la sua ricerca e con quella sviluppata dalla sua scuola attorno alla sintesi del metanolo, della formaldeide e degli alcoli e aldeidi superiori, ha portato all'interpretazione del meccanismo cinetico di questi processi e alla comprensione della stereoselettività dei catalizzatori in essi impiegati". Lo studioso intraprese "in Italia, nel '48, le sue ricerche sulla polimerizzazione delle olefine e qualche anno più tardi applicò con appropriate modifiche le procedure messe a punto da Ziegler alla catalisi stereospecifica della polimerizzazione delle alfa-olefine prosegue Malinconico. "Riuscì così a produrre una serie di composti macromolecolari, primo fra tutti il polipropilene (1954), dotati di elevata cristallinità ed elevata temperatura di fusione, per i quali coniò l'attributo di isotattici volendo con esso esprimere il replicarsi, nella catena del polimero, di carboni terziari aventi uguale configurazione (almeno per lunghi tratti della catena). La maggior parte di questi processi si svolse nei laboratori di Montecatini e portò alla produzione su larga scala del polipropilene isotattico, quella che noi chiamiamo plastica (Moplen), di fibra sintetica (Meraklon) e di film per imballaggio (Moplefan)". L'attività di Natta è pertanto importante anche per un altro aspetto: conclude Malinconico, "La creazione di interazioni permanenti fra il mondo della conoscenza fondamentale e quello della produzione di beni a elevato contenuto innovativo. Un atteggiamento davvero innovativo per l'Italia".
Paolo Dionisi
Fonte: Mario Malinconico , Istituto di chimica e tecnologia dei polimeri, Pozzuoli, tel. 081/865212, email mario.malinconico@ictc.cnr.it