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Alcolismo, 'rehab' all'italiana

di Rosanna Dassisti

Abuso e dipendenza dall'alcol non sono un vizio ma una patologia, che incide sulla spesa sanitaria fino al 10%. Eppure in molte regioni, soprattutto al Sud, ancora mancano le strutture per la ìriabilitazione in regime di residenzialità breve' previste da una legge del 2001. Lo denuncia l'associazione Corra

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In Italia il 9,4% della popolazione consuma quotidianamente alcol in quantità considerevoli e il 15,9%, pari a più di nove milioni di persone considerate a rischio, non rispetta le indicazioni a tutela della salute. E l'età media dei giovani bevitori si è abbassata a 12 anni. Questi i dati resi noti dal  ministro della Salute, Ferruccio Fazio.

Ma nonostante le patologie legate alla dipendenza dall'alcol incidano per il 10% sul totale della spesa sanitaria in molte regioni ancora mancano strutture adeguate per attuare quanto previsto dalla legge del 2001 sulle dipendenze. La ‘riabilitazione alcologica in regime di residenzialità breve' è una modalità di cura ancora poco conosciuta e studiata in Italia, anche se ha una storia trentennale cominciata all'Ospedale civile di Udine, con  un'utenza di circa 2.000 persone l'anno. Questo approccio, chiamato ‘rehab', è più conosciuto in altri paesi europei e negli Stati Uniti. L'associazione Corral (Coordinamento delle riabilitazioni residenziali algologiche) cui afferiscono 12 centri dislocati soprattutto al Nord a eccezione della Casa di cura Villa Silvia di Senigallia e il Centro di Chiaromonte (Pz), si pone l'obiettivo di far conoscere e riconoscere queste opportunità terapeutiche.

Pur essendo i centri diversi tra loro, "il percorso dei ricoverati nella residenzialità alcologica presenta caratteristiche molto simili, a partire da un ambiente ovviamente alcol-free e da una procedura di assessment (accoglienza e presa in carico) standardizzata", spiega Giovanni Vittadini, presidente Corral. "Prima del ricovero il medico incontra il paziente per conoscerlo, valutarne motivazione e coinvolgimento, spiegare i principi e i dettagli del programma terapeutico. L'intervento viene costruito attraverso un lavoro multidisciplinare di alcologi, psichiatri, psicoterapeuti individuali e di gruppo, internisti, neurologi, con il coinvolgimento delle famiglie, in un ambiente ‘a carattere familiare'". Le residenze riabilitative si pongono nel percorso terapeutico tra clinica e comunità con 10-20 posti letto e non più di 200 pazienti l'anno, per un'ospitalità che varia dalle 3-4 settimane a un massimo di otto. Il 75% circa dei pazienti rimane in carico, anche dopo le dimissioni, per ricevere almeno uno dei servizi offerti.

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"I percorsi riabilitativi seguiti presso i Servizi residenziali consistono innanzitutto in terapie farmacologiche contro l'astinenza (23,6%). Seguono interventi informativo-educativi (19,2%), terapie psico-farmacologiche (11,8%), interventi psicologici di gruppo (16,9%) e individuali (13%); con minore frequenza vengono impiegate altre terapie farmacologiche e attività espressive (filmoterapia, danzaterapia, art-therapy, gruppi di narrazione). Lo standard di successo di queste strutture sfiora l'87,6% di percorsi ultimati, con una minoranza ristretta di auto dimissioni, complicanze o altro. Nel 44,3% dei casi la struttura cui il paziente viene indirizzato per il prosieguo del programma è il Sert, seguito da servizi alcologici (18,7%), medico di base o specialista (12,4%) e psichiatri (4,6%).

"L'impegno della nostra Associazione", conclude Vincenzo Aliotta, direttore generale di Villa Silvia, "è volto a far sì che questa opportunità terapeutica venga riconosciuta a pieno titolo e con modalità di accesso condivise  tra le risorse presenti sul territorio per il percorso riabilitativo alcologico".

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