Quando finirà la pandemia?
Il virus Sars-CoV-2 continua a circolare provocando un numero elevato di contagi. La nuova variante Omicron è caratterizzata da maggiore trasmissibilità ma da minore patogenicità e conseguenti inferiori ricoveri. Stabilire quanto tempo questa situazione durerà è però ancora difficile, come sottolinea nel suo intervento Giovanni Maga, direttore dell'Istituto di genetica molecolare “Luigi Cavalli Sforza” del Cnr
Uno dei temi più dibattuti del momento è quello relativo alla fine della pandemia. Alcune nazioni (Regno Unito, Danimarca) addirittura hanno deciso di rimuovere tutte le restrizioni anti-Covid. Ma stiamo davvero uscendone? Certamente la comparsa e diffusione della variante Omicron ha segnato un cambiamento. La nuova variante è caratterizzata da un elevato numero di mutazioni, per la maggior parte concentrate nella proteina Spike. Come conseguenza, questo virus mostra una maggiore contagiosità (a seconda delle indagini da 2 a 4 volte rispetto alla variante Delta), accompagnata però da un’apparente minore patogenicità, in particolare per vaccinati o guariti. Diversi studi effettuati in Sud Africa, Regno Unito e Usa indicano un ridotto rischio di malattia grave a seguito dell’infezione con Omicron rispetto a Delta.
La situazione epidemica attuale quindi è caratterizzata da un elevato numero di contagi, a cui però non corrisponde un proporzionale aumento di ricoveri e decessi. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) stima che la variante Omicron sia stata responsabile nel mese di gennaio di quasi il 90% dei contagi globali, ma rileva anche come i Paesi in cui si è verificata la prima ondata di infezioni nei mesi di novembre e dicembre stiano iniziando a registrare un calo nel numero di contagi. Questi segnali di rallentamento sono dovuti alla combinazione dell’alto tasso di vaccinazione in molte nazioni occidentali, unito al grande numero di persone guarite avendo sperimentato un decorso clinico lieve o moderato, quindi senza gravi conseguenze. L’effetto complessivo è quello di alzare molto il livello di immunità della popolazione e, quindi, di limitare sempre più la diffusione del virus. L’immunità acquisita da guarigione, infatti, si sta rivelando capace di prevenire la malattia grave almeno quanto la vaccinazione e, forse, è anche più duratura. Ecco quindi le ragioni per cui oggi molti ipotizzano un futuro prossimo, già dalla prossima primavera, caratterizzato da sempre meno contagi e, finalmente, sempre meno casi gravi e decessi. Certamente nella prossima stagione autunno-inverno ci sarà una nuova ondata, dato l’andamento tipico dei virus respiratori, ma questa dovrebbe essere caratterizzata da un numero limitato di infezioni e, soprattutto, da una minore gravità dei sintomi.
Epidemia: in arrivo vaccini dal volto nuovo
Fin qui le buone notizie. Ma con i virus come Sars-CoV-2 forse sarebbe meglio non sbilanciarsi troppo con le previsioni. Innanzitutto, la stessa Oms ricorda come in questa fase i rischi derivanti dalla diffusione di Omicron rimangano “molto elevati”. I tassi di contagio globali nelle ultime settimane di gennaio sono in crescita, così come continua a essere elevato il numero delle vittime. Anche se associata a una ridotta patogenicità, l’elevata contagiosità di Omicron conferisce elevate cariche virali alle persone infette, soprattutto nelle vie aeree superiori, il che si traduce in una maggiore capacità di trasmettere il virus ad altri. Inoltre, essendoci molte più persone contagiate, la pressione sui sistemi sanitari è comunque rilevante. In Italia, al 25 gennaio 2022, oltre la metà delle regioni avevano tassi di occupazione nei reparti Covid superiori al 30% dei posti disponibili e prossimi o superiori al 20% in terapia intensiva, con un tasso di occupazione medio nazionale rispettivamente del 30,6% e del 17,6%. Al 28 gennaio nel nostro Paese risultavano oltre 2 milioni e 600 mila persone in isolamento domiciliare, perché positive. Un numero enorme che, anche se per la grande maggioranza sicuramente guariranno senza gravi conseguenze, comunque si tradurrà in un flusso di nuovi ricoveri ancora per settimane, oltre a mettere sotto pressione i servizi essenziali, che sperimentano carenza di personale. Quindi, sicuramente non siamo fuori dall’epidemia e, anzi, adesso più che mai dobbiamo operare con il massimo sforzo per limitare i contagi.
Ci sono poi elementi di incertezza che vanno considerati. Innanzitutto, l’attenuazione dei contagi e della pressione sui sistemi sanitari dipenderà dalla tenuta dell’immunità. Non sappiamo ancora con certezza quanto duri la protezione conferita dalla terza dose o dalla guarigione. Quello che al momento è chiaro è che il ciclo vaccinale completo (due dosi entro 120 giorni o tre dosi) mantiene una elevata efficacia nel proteggere dalla malattia grave anche con la variante Omicron, ma essendo questo virus in circolazione solo da pochi mesi abbiamo bisogno di raccogliere dati per stimare la durata della protezione. Alcuni Paesi, a cominciare da Israele, hanno iniziato, o prevedono di farlo, a somministrare una quarta dose di vaccino. Esistono però delle riserve dal punto di vista scientifico sull’utilità di somministrare un richiamo a così breve distanza dalla terza dose, con il medesimo tipo di vaccini. Anche per questo servono più dati.
Inoltre, la situazione potrebbe complicarsi se emergesse una nuova variante con caratteristiche diverse dalla Omicron. Questo è un rischio non trascurabile, soprattutto perché ampie aree del mondo, in particolare le più povere, hanno tassi di vaccinazione molto bassi, favorendo la possibile comparsa di nuove combinazioni di mutazioni, i cui effetti non sono prevedibili.
Possiamo però adottare strategie per mitigare anche queste incertezze. Innanzitutto è fondamentale aumentare l’accesso ai vaccini e ai farmaci nelle aree meno sviluppate. Anche ripensare alla strategia vaccinale sarà importante, realizzando vaccini basati su più antigeni virali, cioè su proteine o porzioni di esse meno soggette a mutazione ma ugualmente capaci di conferire l’immunità. Inoltre, iniziano a esserci terapie anche domiciliari specifiche e altre ne arriveranno. Il loro utilizzo appropriato e generalizzato abbatterà ulteriormente il peso sui sistemi sanitari, facilitando la guarigione ed evitando la malattia grave.
Non è ancora finita, ma finirà. Però quanto tempo ci vorrà non dipende solo dal virus, ma anche dalla nostra capacità di adottare strategie efficaci.
Fonte: Giovanni Maga Istituto di genetica molecolare “Luigi Cavalli Sforza”, e-mail: giovanni.maga@igm.cnr.it