“Il bisogno di essere capace di comunicare nella lingua della società ospite trova la sua radice più profonda nel desiderio e nella necessità di essere riconosciuti da questa società come persona, cioè di passare dallo status sociale di straniero/estraneo a quello di membro della comunità di accoglienza”, affermano Anna Milione e Paolo Landri dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr nel contributo ospitato nel volume. L'ultimo rapporto nazionale (2019) sugli alunni con background migratorio rivela tra l'altro che la crescita socioeconomica della famiglia migrata aumenta di pari passo con lo sviluppo culturale dei suoi membri. L'adozione di misure di contenimento causate dalla pandemia da Covid 19 ha avuto un forte impatto sul processo educativo delle categorie più deboli, come i figli degli immigrati.
“Le restrizioni hanno reso evidenti gli effetti delle disuguaglianze strutturali che sottendono le disuguaglianze digitali. Tra gli studenti più vulnerabili abbiamo gli alunni con background migratorio, rispetto ai quali a più di venticinque anni dal tempo in cui si sono registrati i primi arrivi, il nostro sistema scolastico è rimasto ancora sprovvisto delle risorse organizzative e professionali necessarie a una piena inclusione”, commentano gli autori. “I dati relativi alla loro presenza nel sistema scolastico italiano rilevano un'incidenza del 10%, che continua a compensare il decremento degli alunni italiani. La maggioranza è costituita da studenti di 'seconda generazione', ben il 64%. Inoltre, gli alunni con background migratorio e, in particolare, quelli nati all'estero, si caratterizzano per livelli di apprendimento più bassi (Invalsi 2019), maggiori ripetenze e abbandono scolastico precoce: nel 2018 l'indicatore Elet (Early leaving from education and training) riferito agli studenti con cittadinanza non italiana è pari al 37,6% a fronte di una media nazionale del 14,5%”. Studi sugli esiti curriculari dimostrano che i figli degli immigrati permangono in condizioni di svantaggio strutturale che richiedono azioni mirate. Il background familiare, l'avere genitori alloglotti e il non parlare la lingua di istruzione nel contesto domestico sono elementi che inficiano la formazione dei ragazzi. “Soprattutto se hanno residenze precarie, sono minori accolti in case-famiglia, vivono in contesti particolarmente difficili o sono stranieri detenuti”, continuano Milione e Landri.
Da cosa cominciare allora per assicurare pari opportunità di studio? “Le scuole necessitano di percorsi di italiano per apprendenti non italofoni, a livelli e bisogni differenti, il che comporta anche l'aumento di organico dedicato. Un altro aspetto fondamentale da curare riguarda il coinvolgimento delle famiglie, che nella Dad risulta ulteriormente ostacolato da carenze linguistiche e da scarse competenze digitali, attraverso l'attivazione di percorsi formativi che integrino l'azione di diversi attori pubblici. Sviluppare o consolidare azioni di rete soprattutto per i minori soli o di giovani adulti che vivono in comunità di accoglienza, i quali per la maggior parte sono da recuperare alla frequenza scolastica e formativa”. La sfida, concludono i ricercatori, è che il distanziamento sanitario non vada ad accentuare le disegualianze.
Fonte: Paolo Landri, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, Penta di Fisciano, tel. 089/891850 , email paolo.landri@irpps.cnr.it - Anna Milione , email anna.milione@irpps.cnr.it -