Focus: Ripartenza

Libertà e diritti durante la pandemia

Coronavirus
di Rita Bugliosi

Il Covid-19 ha imposto pesanti ricadute sulla nostra quotidianità, divieti e limitazioni: misure eccezionali, mai adottate nella storia della Repubblica, ma la Costituzione prevede l'emanazione di norme di emergenza per tutelare il “fondamentale” diritto alla salute. Ce lo illustra Tommaso Edoardo Frosini, ordinario di Diritto pubblico comparato nell'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e vicepresidente del Cnr

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Il Covid-19 è un virus sconosciuto, estremamente contagioso e letale, che ha finora colpito nel mondo oltre tre milioni di persone e causato oltre 200 mila morti, con pesanti ricadute a livello economico, data la sospensione della maggior parte delle attività lavorative e produttive, e sulla nostra quotidianità. Tutti gli Stati, ancorché in forme e misure diverse, per ridurre le occasioni di contagio, hanno infatti limitato al minimo i contatti tra le persone e introdotto una serie di divieti e limitazioni: dall'uscire di casa solo per motivi di stretta necessità al mantenere il distanziamento sociale. Provvedimenti straordinari, misure eccezionali, mai prima adottate nella storia della Repubblica, benché l'Italia abbia già vissuto situazioni di emergenza come il terrorismo, nelle quali erano state introdotte leggi speciali che riducevano alcune libertà garantite dalla nostra Costituzione. Ma certo mai ci era stato impedito di svolgere attività normali quali fare una passeggiata, incontrare amici e parenti, praticare sport, viaggiare… È inevitabile, dunque, riflettere su come l'adozione da parte del Governo di provvedimenti così restrittivi si concili con i principi della Carta fondamentale della Repubblica.

“Dobbiamo tener conto che stiamo vivendo una condizione di emergenza assolutamente unica e inedita, che coinvolge l'intero Pianeta, tanto da indurre l'Organizzazione mondiale della sanità a dichiarare lo stato di pandemia. Una situazione tanto emergenziale ed eccezionale che ha spinto tutti i Governi nazionali ad adottare misure di restrizioni dei comportamenti analoghe a quelle cui siamo ricorsi in Italia”, commenta Tommaso Edoardo Frosini, ordinario di Diritto pubblico comparato nell'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, nonché vice presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. “In un contesto così grave sarebbe quindi errato definire queste restrizioni come un vulnus alla democrazia: esistono infatti norme, fissate proprio dalla Costituzione, penso alla Francia e alla Germania, secondo cui, in casi eccezionali determinati da situazioni emergenziali, è prevista la sospensione di alcuni diritti dei cittadini e la limitazione di alcune libertà”.

Introdurre norme straordinarie in tali condizioni è dunque non solo possibile ma necessario, purché ovviamente abbiano precise caratteristiche utili a salvaguardare il bene pubblico. “I criteri alla base dei provvedimenti governativi in caso di emergenza è che questi siano provvisori, ragionevoli e proporzionati all'evento: questi tre elementi devono sempre contraddistinguere le disposizioni eccezionali adottate”, spiega Frosini. “Inoltre, non esistendo nella nostra Costituzione, a differenza che in altri Paesi di democrazia liberale, regole specifiche che prescrivano come intervenire normativamente in una fase di emergenza, l'unica forma che può assumere il carattere di eccezionalità è il Decreto legge, attraverso cui si possono emanare provvedimenti provvisori vigenti immediatamente dopo la pubblicazione, senza dover passare per l'iter legislativo. Dunque uno strumento che permette al Governo di esercitare, eccezionalmente, quel potere legislativo che per la nota tripartizione compete al Parlamento”.

Nel caso dell'attuale pandemia di Covid-19, però, lo strumento più utilizzato dal nostro Governo non è il Decreto legge, bensì il Dpcm, sigla divenuta oramai familiare anche a quanti non sono esperti giuristi. “In effetti, la maggior parte dei provvedimenti sono stati adottati mediante Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. E non si tratta di una differenza marginale: mentre infatti il Decreto legge ha una durata di sessanta giorni, entro i quali il Parlamento deve convertirlo in legge per renderlo definitivo, il Dpcm è un atto amministrativo, che esula dal controllo parlamentare: per abolirlo occorrerebbe presentare ricorso contro il provvedimento di fronte ai giudici amministrativi, i quali potrebbero chiaramente opporre un rigetto”, continua il costituzionalista.

A motivare il ricorso a questo strumento straordinario così forte, come del resto le conseguenti limitazioni alle libertà civiche, è però l'importanza della salute, sancita dall'articolo 32 della nostra Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”. Spiega Frosini: “A giustificare forme provvisorie di limitazione della libertà personale è proprio la necessità di tutelare l'unico diritto al quale la Carta ha riservato la qualifica di fondamentale. Per garantire la salute è possibile limitare, sacrificare altri diritti: a condizione che il sacrificio sia proporzionale, ragionevole e temporaneo, come prima dicevamo. In questa situazione così straordinaria può crearsi un po' di dissonanza nelle posizioni e nei rapporti tra Stato e Regioni, ma l'amministratore locale non può assumere decisioni avulse dal contesto, i suoi provvedimenti devono essere adeguati alla situazione del territorio. È importante quindi che il rapporto tra Ente centrale e locali sia di leale collaborazione: il Governo deve accettare le iniziative regionali, a condizione che non confliggano contro i propri provvedimenti. Se invece le ordinanze regionali dovessero dimostrarsi inadeguate o rischiose per la popolazione, lo Stato potrebbe esercitare il proprio potere sostitutivo, ovvero sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza considerata contrastante e dettando direttamente le norme anche a livello locale. Non dimentichiamo, infine, il controllo sociale svolto dalla cittadinanza”.

L'ingresso nella cosiddetta “fase 2” ha fatto discutere a proposito di una possibile violazione dei diritti alla riservatezza, relativa all'uso della app “Immuni” per il tracciamento dei contatti. “In realtà i nostri dati personali vengono resi noti anche quando utilizziamo carta di credito e bancomat, quando acquistiamo prodotti in farmacia che consentono di risalire al nostro stato di salute, quando mettiamo un like su un post sui social”, conclude Frosini. “Non dobbiamo pertanto preoccuparci eccessivamente se qualche nostro dato personale viene archiviato, ma solo se viene divulgato a terzi. Nel caso di Immuni non ci sarebbe un tracciamento degli spostamenti e verrebbe garantito l'anonimato: e si tratta di un sistema in linea con le attuali norme europee sulla privacy, oltre che di un'applicazione utile, che ci consente di circolare con maggior sicurezza e serenità”.

Fonte: Tommaso Edoardo Frosini, ordinario di Diritto pubblico comparato, Università Suor Orsola Benincasa di Napoli; Vicepresidente del Cnr, e-mail: tefrosini@gmail.com -

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