La gioia di tornare a esibirsi in pubblico
Il tenore Saimir Pirgu, da adolescente vede in tv il concerto dei “tre tenori” e ne rimane affascinato, decide che il canto sarebbe stato la sua vita. Albanese di nascita, nel 2014 è naturalizzato italiano dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Racconta gli incontri con Pavarotti e Abbado e la grande gioia di tornare a esibirsi in pubblico dopo l’interruzione per la pandemia
“Tenore energico dalla voce dolce”, così lo ha definito il New York Times.
Saimir Pirgu è un tenore di grande talento, lo dimostrano le numerose attestazioni di stima e i numerosi premi ricevuti, come il “Pavarotti d'oro”, vinto nel settembre del 2013. Nasce in Albania e, all'età di 18 anni, viene in Italia per proseguire i suoi studi musicali. Diploma di violino in Albania e poi Conservatorio a Bolzano. Nasce qui il suo legame con l'Italia. “Un legame fortissimo, quasi simbiotico. È un Paese che amo per la sua arte e che al tempo stesso mi ha dato molto. Ho trascorso più della metà della mia vita in Italia, ho studiato canto al Conservatorio Claudio Monteverdi di Bolzano, vivo a Verona e sono orgoglioso che il Presidente della Repubblica italiana mi abbia conferito nel 2014 la cittadinanza. L'Albania è però dentro di me, sono e resto albanese per appartenenza e carattere; mi sento italiano per la mia professione, il canto, che è anche la mia vita. L'Albania è il cuore, l'Italia è l'arte”.
Quando è nata la passione per la musica?
La passione per la musica è sempre stata dentro di me. Sin da piccolissimo ho sempre amato cantare. Eseguivo canzoni popolari davanti a piccoli pubblici di amici e conoscenti. Come ho spesso affermato, mi ritengo un “prodotto” dei tre tenori Carreras, Domingo e Pavarotti. È grazie a loro che ho intrapreso la strada del canto. Avevo circa 13-14 anni quando mi trovavo a Elbasan, una piccola città industriale dell'Albania, era da poco finito il comunismo e vidi in tv il famoso concerto da Caracalla dei tre artisti. Ne rimasi affascinato. Registrai quel concerto e lo riascoltai infinite volte.
Si è detto spesso che la televisione è stata una formidabile ambasciatrice dello stile di vita nostrano nel suo Paese d’origine, e lei lo conferma
Sì, da quel momento ho deciso che il canto sarebbe diventato la mia vita. Ad appena 18 anni, diplomatomi in violino, ho deciso di venire in Italia. Al Conservatorio di Bolzano ho incontrato il maestro Vito Brunetti, che mi ha voluto nella sua classe, e a 20 anni ho vinto i concorsi Enrico Caruso di Milano e Tito Schipa di Lecce. La voce ha girato e nel 2004 ho debuttato alla Staatsoper di Vienna e al Festival di Salisburgo. Mai avrei pensato, a pochi anni dal concerto di Caracalla, di ritrovarmi accanto ai suoi tre protagonisti: ho condiviso il palco del Metropolitan Opera di New York con Domingo, ho cantato a Vienna con Carreras e ho avuto Pavarotti come amico.
Com’è avvenuto il suo incontro con Pavarotti?
Ho avuto la fortuna di conoscerlo a 19 anni, nel periodo di Bolzano. Era a Merano per cure e amava trascorrere il tempo libero ascoltando nuove voci promettenti. Perciò aveva chiesto se nei dintorni si potesse ascoltare qualche cantante. Fecero il mio nome, mi sono presentato ed è nata un’amicizia durata fino agli ultimi giorni della sua vita. Pavarotti è stato un sostegno fondamentale. Lo vedevo costantemente. Ho studiato con lui i più famosi titoli di repertorio, è stato un maestro, un amico e consigliere; aver ricevuto il Pavarotti d’oro nel 2013 è stata un’emozione grandissima, come un rafforzamento del sentimento e della stima che provo per lui, un modo per sentirlo vicino a me.
Un altro incontro importante è stato quello con Claudio Abbado
Mi ha scoperto a Ferrara, avevo 22 anni. Nel momento in cui ho vinto a Milano il Premio Caruso, il mio nome gli è stato segnalato e il maestro, sempre attento alle novità, si è incuriosito e mi ha chiamato per un'audizione, così ho cantato con lui “Così fan tutte” a Ferrara, Modena e Reggio Emilia. Era strepitoso, aveva grande intuito nel selezionare i giovani, adorava lavorare e fare musica con loro e si caricava positivamente, trasmettendogli il dono della musica. Sarà stato anche per la giovane età, ma solo successivamente ci si rende conto della grandezza di lavorare con grandi musicisti come lui. Mi ritengo molto fortunato per aver potuto iniziare la mia carriera con uno dei più grandi direttori d'orchestra. Per quasi un decennio la mia più grande preoccupazione è stata quella di mantenermi sulla linea di questo grande inizio e di non deludere le aspettative che Abbado aveva su di me.
Com'è stato tornare a esibirsi davanti al pubblico e come ha vissuto il periodo di interruzione degli spettacoli durante i lockdown più severi?
Avevo appena finito di debuttare in Onegin all'Opera di Roma quando, rientrato a casa, è cominciato il primo lockdown. È stato stranissimo per me, abituato a essere in giro per il mondo più di 300 giorni all'anno, ritrovarmi per tutto questo tempo a casa. Fortunatamente ho ripreso a lavorare pochi mesi dopo, ma soprattutto in concerti in streaming, con pochissimo pubblico distanziato o spesso senza spettatori. La voglia di esibirsi era tanta, ma mancava il calore del pubblico, linfa vitale per noi artisti. Il graduale ritorno alla normalità è come una nuova boccata di ossigeno, è come tornare a vivere, e ultimamente percepisco ciò che accaduto in quei difficili mesi come uno strano sogno, come una parte di vita non vissuta, perché priva di bei ricordi: un tempo che si è fermato per alcuni mesi. Il ritorno a esibirsi in pubblico ha comportato una gioia indescrivibile, una consapevolezza ancora più forte dell'amore che ho per il mio mestiere, e sono felicissimo di aver appena inaugurato la nuova stagione di Parigi al Théâtre des Champs-Élysées e di essere tornato alla Royal Opera House di Londra dove, recentemente, ho debuttato in un nuovo ruolo.
Ad aprile 2021 è stato protagonista di una Traviata trasmessa dalla Rai e seguita da un milione di telespettatori. La cultura in tv può ancora fare audience?
Certamente, soprattutto se lo spettacolo è ben realizzato. La qualità permette di avvicinare sia un pubblico esperto d'opera che un pubblico amante della cultura in generale. Questa Traviata che la Rai ha trasmesso lo scorso aprile, tra le varie peculiarità aveva anche quella di essere stata trasmessa in un periodo in cui i teatri erano chiusi per la pandemia: la risposta del pubblico non si è fatta attendere ed è stato bello sentire nei commenti di aver riportato finalmente, dopo tanti mesi, la gioia di rientrare a teatro attraverso la tv.
Se paragonasse la sua vita a un'opera lirica o a un personaggio di un'opera lirica, quale sceglierebbe?
Sono poche le opere in cui il tenore non muoia, non sia triste o non abbia una vita difficile, ma dovendo scegliere, togliendo l'ingenuità del personaggio, sceglierei Nemorino de “L'elisir d'amore”, un eterno giovanotto che vive la sua favola inseguendo l'amore della sua vita.
E qual è il suo legame con la scienza?
Devo dire che, pur non avendo un legame concreto con la scienza, provo per essa un grande interesse: mi interesso molto di chimica, fisica quantistica, viaggi spaziali… Sono un sognatore e amo tantissimo le novità, le nuove scoperte scientifiche sia in campo medico sia in tutti gli altri settori in cui ci sia un progresso per la nostra società e per l'umanità in generale.