Quando, nel 1989, i chimici Martin Fleischmann e Stanley Pons annunciarono di aver scoperto il modo di produrre la fusione nucleare in una semplice cella elettrochimica, con elettrodi di palladio e platino, il clamore mediatico fu enorme. Ricercatori di tutto il mondo si impegnarono febbrilmente nel tentativo di riprodurre l'esperimento. Si credeva che la civiltà umana fosse alle soglie di una nuova era, quella dell'energia pulita e inesauribile. Ma le cose non andarono proprio così.
Per sostenere la validità di questa speranza sono state fatte, nel tempo, molte ipotesi. "Sono più di 100 le teorie circolanti sulla fusione fredda, un fenomeno che avrebbe caratteristiche analoghe a quella che tiene in vita le stelle, ma si verificherebbe a basse temperature, anziché a molti milioni di gradi", spiega Valerio Rossi Albertini, fisico dell'Istituto di struttura della materia (Ism) del Cnr. "Dopo il palladio, usato nelle prime celle, la pietra filosofale di chi oggi si impegna in questi esperimenti è il nichel. La nuova ricetta della fusione fredda promette di produrre grandi quantità di calore con questo elemento, che sarebbe capace di catalizzare l'unione di protoni di idrogeno per costituire nuclei di elementi più pesanti. In questo processo, parte della massa dei nuclei originari si convertirebbe in calore, da usarsi per scaldare e produrre energia elettrica".