Sono passati novantuno anni dal terremoto che il 23 luglio 1930 devastò le regioni della Campania, della Puglia e della Basilicata: fu un evento gravissimo, con 1.404 morti, oltre 4.600 feriti e circa 100.000 senzatetto. I paesi di Ariano Irpino, Lacedonia, Villanova del Battista, Scampitella, Trevico e Aquilonia, tutti compresi nella provincia di Avellino, furono i più colpiti; il numero dei crolli delle abitazioni fu impressionante, accompagnato e aggravato anche da un diffuso dissesto idrogeologico. Il terremoto, di magnitudo 6.6, portò infatti a osservare anche numerosi effetti nell'ambiente naturale, quali fagliazioni superficiali, fratture e fenomeni franosi, variazioni idrogeologiche.
Per far fronte al disastro, il governo nazionale dell'epoca - attraverso il ministro dei Lavori pubblici Araldo di Crollalanza - dispose l'utilizzo di alloggi temporanei in tenda, in attesa della costruzione di ricoveri stabili o "casette asismiche", che furono costruite e consegnate dopo pochi mesi dal terremoto.
Oggi, a distanza di oltre novant'anni, è lecito chiedersi cosa resti dell'ampio processo di ricostruzione e, in particolare, delle “casette”: esistono, resistono, sono abitate, abbandonate, riutilizzate? È quanto indaga, attraverso un'ampia documentazione fotografica, il libro "Via casette asismiche", pubblicato dalla casa editrice Blurb e curato da Efisio Spiga e Sabina Porfido, il primo ricercatore indipendente di Avellino, la seconda ricercatrice dell'Istituto di scienze dell'alimentazione del Cnr. Un centinaio di foto che, oltre a rappresentare un'importante memoria storica per le generazioni future, permettono di comprendere l'approccio adottato nella ricostruzione post-terremoto e l'impatto sullo sviluppo sociale, economico e urbano di questi piccoli paesi dell'entroterra nel corso dell'ultimo secolo.
“Abbiamo voluto testimoniare, attraverso un preciso percorso iconografico - il temporaneo divenuto permanente - ciò che resta oggi delle case asismiche. Una testimonianza di ciò che è stato e forse resterà ancora per poco tempo in alcuni piccoli centri dell'alta Irpinia”, afferma Porfido.
Il volume, di cui alcune foto sono visibili nella gallery dedicata del portale web dell'Ente, contiene anche un'ampia e documentata introduzione in inglese curata da Fabrizio T. Gizzi, ricercatore dell'Istituto di scienze del patrimonio culturale del Cnr.