Le piante diventano biofabbriche di anticorpi
Immaginate di poter trasformare una pianta in una fabbrica vivente di medicinali. Non è fantascienza, ma una realtà scientifica concreta: si chiamano “plantibody” e sono anticorpi per uso umano prodotti da piante geneticamente modificate. Questa tecnologia innovativa nella produzione di farmaci biotecnologici offre soluzioni promettenti per la medicina, come racconta Emanuela Pedrazzini dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria del Cnr
Gli anticorpi monoclonali (mAb) rappresentano una delle frontiere più promettenti della medicina moderna. Nel solo 2023, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha dato parere favorevole per l’autorizzazione di 39 nuovi farmaci, tra cui 9 basati su anticorpi monoclonali. Globalmente, questo mercato in rapida espansione ha superato i 200 miliardi di euro lo scorso anno, confermando come i mAb siano diventati importanti nella lotta contro numerose patologie.
Ma cosa sono esattamente i mAb? “Sono molecole singole che riconoscono con straordinaria precisione uno specifico bersaglio - tecnicamente chiamato determinante antigenico -, spesso una piccola porzione di una proteina”, spiega Emanuela Pedrazzini dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria (Ibba) del Consiglio nazionale delle ricerche. “Mentre il nostro corpo produce naturalmente anticorpi policlonali, cioè che riconoscono diverse parti di una proteina estranea, gli anticorpi monoclonali sono progettati per colpire un solo bersaglio con estrema precisione. Questa caratteristica, unita alla possibilità di produrli in modo standardizzato e in grandi quantità, li rende particolarmente efficaci come farmaci”.
I costi elevati per produrre mAb in colture cellulari di mammifero hanno spinto da decenni la ricerca di sistemi alternativi che sfruttino l’ingegneria genetica, come per esempio la produzione in lieviti, cellule di insetto o intere piante. In questo contesto si inserisce una delle innovazioni più affascinanti della biotecnologia moderna: i “plantibody”, anticorpi prodotti da piante usate come vere e proprie “biofabbriche”. Grazie all’ingegneria genetica, i ricercatori inseriscono nelle piante i geni necessari per sintetizzare specifici anticorpi, che sono così prodotti in modo efficiente e su larga scala grazie al sistema di sintesi proteica delle cellule vegetali.
“La storia di questa tecnologia risale a 35 anni fa, quando, nel 1989, un gruppo di ricercatori riuscì per la prima volta a produrre anticorpi di classe G (IgG) in piante transgeniche”, racconta Pedrazzini. “Gli IgG sono gli anticorpi più abbondanti nel sangue umano e svolgono un ruolo essenziale nel sistema immunitario. Un ulteriore passo avanti fu fatto pochi anni dopo, quando gli scienziati del Guy’s Hospital di Londra riuscirono a ‘programmare’ una pianta di tabacco per produrre un potente anticorpo contro lo Streptococcus mutans, il batterio responsabile della carie dentale. I ricercatori del Cnr-Ibba hanno collaborato con il team inglese per studiare la sintesi di questo anticorpo all'interno delle cellule vegetali. Abbiamo documentato come queste cellule gestiscono la sintesi e lo smistamento di proteine, mettendo in luce i loro meccanismi interni, che possono in parte differire da quelli dei sistemi batterici o animali”.
Le piante offrono diversi vantaggi rispetto ai sistemi tradizionali di produzione. Innanzitutto, il loro apparato cellulare per la sintesi proteica è più simile a quello dei mammiferi di quanto lo sia quello di batteri o lieviti. Inoltre, i costi di produzione sono notevolmente inferiori e il rischio di contaminazione da patogeni umani è praticamente nullo. La produzione vegetale è anche più sostenibile, con un impatto ambientale notevolmente ridotto rispetto ai metodi convenzionali.
La produzione su larga scala di plantibody presenta alcune sfide tecniche interessanti. “Gli anticorpi sono glicoproteine, ovvero proteine modificate con l’aggiunta di catene di zuccheri, e le cellule vegetali li modificano in modo leggermente diverso rispetto alle cellule umane. Per superare questa limitazione, i ricercatori hanno sviluppato tecniche per rendere più simile al nostro il modo in cui le cellule delle piante aggiungono gli zuccheri agli anticorpi”, chiarisce la ricercatrice. “Questa ‘umanizzazione’ delle cellule vegetali consente di creare plantibody che siano più stabili e funzionali quando utilizzati nei trattamenti farmacologici”. Un esempio concreto dell’efficacia di questo approccio risale al 2014, quando un “cocktail” di anticorpi monoclonali prodotti in piante di tabacco geneticamente modificate, noto come ZMapp, è stato utilizzato con successo nel trattamento di pazienti affetti da Ebola.
Le caratteristiche specifiche delle cellule vegetali possono però anche aprire ulteriori strategie per la produzione di mAb e di altre proteine con applicazioni terapeutiche. “Un gruppo di ricerca della Boku University di Vienna ha sviluppato un sistema innovativo che utilizza i corpi proteici - grandi polimeri proteici - dei semi dei cereali come ‘contenitori’ naturali per trasportare vaccini. Questo sistema potrebbe potenzialmente essere utilizzato anche per veicolare anticorpi in maniera controllata nel corpo umano. Il progetto, chiamato PlanOVac, al quale ha collaborato anche il mio gruppo di ricerca al Cnr-Ibba, rappresenta un'ulteriore dimostrazione delle potenzialità di questa tecnologia”, aggiunge Pedrazzini.
Nonostante i successi ottenuti, i plantibody non sono ancora diffusi nella produzione farmaceutica. Le ragioni sono molteplici: le industrie farmaceutiche hanno già investito pesantemente in sistemi di produzione convenzionali e sono naturalmente riluttanti ad adottare nuove tecnologie; inoltre, manca una normativa chiara per la produzione di farmaci in ambito vegetale. Va anche considerato che il dibattito sugli Ogm ha influenzato negativamente l’accettazione pubblica di questa tecnologia. Ciononostante, i ricercatori continuano a lavorare per sviluppare soluzioni per superare questi ostacoli. Dal punto di vista tecnico, lavorano per ottimizzare i livelli di espressione proteica e migliorare i processi di purificazione degli anticorpi dalle piante. Un’altra sfida importante è la standardizzazione dei processi, per la quale si stanno studiando approcci innovativi che non richiedono modifiche genetiche permanenti delle piante e facilitano la produzione in ambienti controllati. “Tra queste soluzioni ci sono l’uso di vettori virali vegetali sicuri e la produzione in radici di piante coltivate in ambienti idroponici controllati. Questi metodi potrebbero finalmente consentire di sfruttare appieno il potenziale della tecnologia plantibody”, conclude la ricercatrice.
Fonte: Emanuela Pedrazzini, Istituto di biologia e biotecnologia agraria, emanuela.pedrazzini@ibba.cnr.it