Vivere negli abissi
Le profondità oceaniche sono poco esplorate dall'uomo, malgrado i mari coprano circa il 70% della superficie totale del nostro Pianeta. Sono caratterizzati da una incredibile varietà di creature che per vivere nel buio più profondo hanno dovuto assumere sembianze da “mostri”. A spiegarci perché è Ester Cecere, biologa marina della sede di Taranto dell'Istituto di ricerca sulle acque del Cnr
L'uomo è sempre stato attratto dall'ignoto degli abissi marini, che nell'immaginario ha popolato di creature mostruose, come dimostra la letteratura sul tema, da “Ventimila leghe sotto i mari” di Jules Verne a “Moby Dick” di Herman Melville. Nonostante presenti condizioni estreme, l'ambiente abissale è caratterizzato da una biodiversità che stupisce per l'incredibile varietà di specie animali. “I primi tentativi di esplorazione del fondo marino risalgono addirittura al IX secolo a.C., ad opera degli Assiri, anche se è stato Leonardo da Vinci a realizzare per primo sistemi di respirazione per palombaro e a immaginare uno scafo che si poteva immergere”, afferma Ester Cecere dell'Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) del Cnr di Taranto. “L'esplorazione dei fondali marini è stata poi resa possibile dall'avvento dell'autorespiratore ad aria, dei sottomarini Remotely Operated Vehicle (Rov) a comando remoto, equipaggiati con videocamere, e dei batiscafi, come il 'Trieste', che il 23 gennaio 1960 raggiunse la profondità di 10.916 metri, nella Fossa delle Marianne (Oceano Pacifico), in cui vennero avvistati gamberi e pesci simili a sogliole”.
Nel 2010, nel Golfo del Messico, a circa 1.500 metri di profondità, un batiscafo ha avvistato un pesce della lunghezza di oltre 17 metri. “Si tratta del Re d'aringhe o Pesce remo, il pesce osseo più lungo del mondo, probabilmente alla base di tutte le storie e le leggende sull'esistenza di enormi serpenti di mare”, prosegue la ricercatrice. “Inoltre nel 2012 una troupe televisiva ha filmato il calamaro gigante, che raggiunge i 13 metri e che è stato considerato per secoli solo una creatura mitologica”.
L'ambiente marino è suddiviso in due sistemi: il sistema fitale, caratterizzato dalla presenza della luce del sole, e il sitema afitale, dove la luce non arriva e dove, quindi, non ci sono organismi vegetali, poiché in mancanza di luce non la fotosintesi non si attua. “Il sistema fitale comprende quattro zone, i piani bionomici, che vanno dalle rocce bagnate dagli spruzzi dovuti al moto ondoso fino alla profondità a cui giunge la luce, profondità che dipende dalla trasparenza dell'acqua. L'afitale ne comprende tre, individuate in funzione della profondità”, chiarisce Cecere. “Nei piani bionomici le variabili ambientali che determinano forme e strategie di nutrimento, di riproduzione e di difesa sono principalmente luce e profondità, dalle quali dipende la pressione. In mare, infatti, ogni 10 metri la pressione aumenta di 1 atmosfera, ovvero di circa 1 kg per cm2. Nella Fossa delle Marianne, dove si raggiunge la profondità massima di circa 11.034 metri, la pressione è di 1.100 kg per cm2.. L'assenza di luce, impedendo la fotosintesi, fa sì che a tali profondità non possano vivere organismi vegetali né bentonici né planctonici, cioè niente macro e microalghe. Pertanto, gli abitanti del sistema afitale sono detritivori, si nutrono delle particelle organiche presenti nel detrito, o carnivori, questi ultimi sono o predatori o necrofagi se si nutrono dei resti degli animali morti che lentamente affondano”.
I pesci abissali hanno dovuto assumere sembianze mostruose per sopravvivere: bocche enormi e taglie extra large. “In un ambiente dominato dall'oscurità, nutrirsi e riprodursi non è affatto facile. Uno dei più noti adattamenti al buio degli abissi è la presenza di fotofori, cellule speciali all'interno delle quali avviene una reazione chimica che dà origine ai bagliori luminosi, una sorta di lanterne che attirano le prede”, spiega la ricercatrice. “Altra caratteristica di questi predatori d'alta profondità è la bocca enorme, munita di denti lunghissimi e aguzzi, che consente loro di ingoiare prede di grosse dimensioni e di fare così scorta di cibo”. L'oscurità assoluta non facilita certamente la ricerca del partner. Pertanto, niente danze di corteggiamento, con romantici intrecci di code come nei cavallucci marini, nessuna parata con esibizione di colori vivaci per stupire la femmina, niente spettacolari nidi di bolle per invitarla a deporre le uova. Come richiamo sessuale, ancora una volta, vengono usati i bagliori emessi dai fotofori.
Inoltre, molte specie animali raggiungono una taglia notevolmente superiore rispetto alle specie dello stesso genere di acque meno profonde, un fenomeno definito “gigantismo abissale”. “È questo il caso del già citato calamaro gigante, ma anche di diverse specie di anfipodi, piccoli crostacei simili a gamberetti, lunghi 1 cm o poco più, in acque superficiali ma che, a più di 10.000 metri di profondità, raggiungono i 50 cm di lunghezza e i 2 kg di peso. Da menzionare anche il verme tubolare gigante, che può raggiungere la lunghezza di 3 m, e che vive in grandi colonie presso le sorgenti idrotermali. Si è ipotizzato che il gigantismo abissale possa servire a controbilanciare la forte pressione o a disperdere meno calore”, conclude l'esperta.
Fonte: Ester Cecere, Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) sede di Taranto , email ester.cecer@irsa.cnr.it -