Cinescienza: Lingua e linguaggi

Parola all'arte

Una scena del film Il primo re
di Danilo Santelli

Nel suo ultimo lavoro per il cinema, Matteo Rovere rivisita il mito dei fratelli Romolo e Remo, che ha condotto il primo, attraverso il sacrificio della vita dell’altro, verso la fondazione della città eterna. Una narrazione sanguinosa, mistica e a tratti livida quella de “Il primo re”, supportata da dialoghi in una lingua ideata appositamente per il film dai collaboratori del regista. Michela Tardella e Pietro Restaneo dell’Istituto per il lessico intellettuale europeo e storia delle idee del Cnr hanno raccontato in quali contesti storici e con quali obiettivi si siano affermate le lingue inventate, non soltanto sul grande schermo

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Il processo di costruzione di questa lingua si basa su una forma di rilessificazione del latino comunemente conosciuto, con l’introduzione di termini che traggono spunto, in alcuni casi, da forme arcaiche opportunamente riadattate per evocare in una maniera quanto più plausibile la fase primordiale e tribale della nascita di Roma, con gli accadimenti che portarono alla fondazione della città eterna. Lo scopo era quello di rappresentare una lingua che non rievocasse direttamente il latino classico, ma che da questo fosse ispirata, allo scopo di fornirle veridicità e un certo grado di attinenza e verosimiglianza storica. Questa operazione, resa possibile anche da una sceneggiatura con una presenza limitata di dialoghi, in Italia rappresenta forse un unicum nel panorama cinematografico. Tuttavia, non è il primo caso di creazione di una lingua per il cinema e, più in generale, per quanto concerne l’ambito artistico e letterario, che arriva cronologicamente da più lontano.

“Tanti sono i progetti e le teorie che hanno affrontato questa tematica: lingue che si potessero capire senza bisogno di impararle, da riscoprire misticamente perfette o da costruire a tavolino per una comunicazione trasparente, senza fraintendimenti e ambiguità. La storia del pensiero ci offre e ci racconta di questi numerosi casi: la ‘lingua adamitica’, la rilessificazione del greco e del latino per creare lingue ignote con finalità mistiche, passando per le lingue magiche e le lingue degli altri mondi, come il lunariano di Francis Godwin nel libro ‘The Man in the Moone’ del 1638, solo per fare alcuni esempi. Nel Novecento assistiamo alla proliferazione di lingue inventate come l’esperanto, l’idiom neutral, il latino sine flexione, l’ido, l’occidental e l’interlingua, pensate per essere delle lingue franche che potessero consentire la comunicazione tra tutti i popoli del mondo. E in letteratura, la neolingua di George Orwell che in ‘1984’ viene utilizzata per manipolare le menti, inibire la complessità del ragionamento e controllare il pensiero, o la lingua per comunicare con gli alieni ideata da John W. Weilgart (aUI The Language of Space) nel 1968”, spiega Michela Tardella, dell’Istituto per il lessico intellettuale europeo e storia delle idee (Iliesi) del Cnr.

Locandina del film Il primo re

“Questo è il contesto nel quale anche l’arte sperimenta nuove forme linguistiche: penso al klingon di Marc Okrand per la serie televisiva ‘Star Trek’, all’elfico della trilogia ‘Il signore degli anelli’ di J. R. R. Tolkien o al dothraki e l’alto valyriano deIle ‘Cronache del ghiaccio e del fuoco’ di George Martin, poi trasposte nella serie ‘Il trono di spade’.  E, nel cinema degli anni 2000, abbiamo sperimentato la lingua na’vi dell’Avatar di James Cameron, così come quello che potremmo definire quasi protolatino nel film di Rovere”, conclude Pietro Restaneo, ricercatore del Cnr-Iliesi.

Progetti letterari e artistici che si sono espressi anche attraverso l’elaborazione di lingue inventate, con gli obiettivi più vari, nella consapevolezza della stretta relazione che esiste tra la lingua e il pensiero, inteso come comprensione e rappresentazione del mondo che ci circonda.

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