Focus: Scienza e narrativa

Verne, viaggiare necesse est

coralli
di Silvia Mattoni

Percorrere ventimila leghe sotto i mari per esplorare mondi sconosciuti o fare un viaggio al centro della Terra. Sogni impossibili, ma non per Jules Verne, che con le sue opere è riuscito a far vivere avventure fantastiche grazie a un perfetto connubio tra intuizione scientifica e invenzione narrativa. Cogliendo così quel desiderio incontrollabile che ancora oggi caratterizza il mondo della ricerca. A parlarcene, Sergio Ragonese del Cnr-Irbim e Giorgio Tranchida del Cnr-Ias

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Chi non ha mai desiderato percorrere ventimila leghe sotto i mari per esplorare mondi sconosciuti o fare un viaggio al centro della terra per raggiungere le viscere del nostro Pianeta? Jules Verne con le sue opere è riuscito a immaginare avventure al tempo impensabili, grazie a un perfetto connubio di scienza e invenzione. L'importante è viaggiare. Che si tratti di brevi o lunghi tragitti, di mete reali o di fantasia, i suoi protagonisti hanno sempre la valigia pronta. Mentre i lettori, comodamente seduti in poltrona, assaporano con l'immaginazione percorsi tra terra, mare e cielo, a bordo di macchine straordinarie, in un meraviglioso mondo di avventure, scoperte e colpi di scena.

'Ventimila leghe sotto i mari', uno dei romanzi più importanti del ciclo 'Les Voyages extraordinaires', primo di una trilogia che proseguirà con 'I figli del Capitano Grant' e 'L'isola misteriosa', narra le avventure del capitano Nemo e del suo equipaggio a bordo del sommergibile Nautilus: dalla visione di Atlantide alle intricate foreste sottomarine, dalle piovre gigantesche fino ai cannibali. Il tema conduttore è il desiderio di scoprire i grandi misteri nascosti nelle profondità del mare. Ma se la fantasia e l'immaginazione di Verne quasi sempre superano la finzione, l'idea del capitano Nemo di autoaffondare la sua creatura anzichè lasciarla catturare dai suoi avversari, ha invece un fondo di verità. “L'affondamento di una nave (sorta di suicidio marittimo) si è verificato molte volte nella storia”, spiega Sergio Ragonese, dirigente di ricerca dell'Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine (Irbim) del Consiglio nazionale delle ricerche. “Uno dei casi più famosi, il 21 giugno del 1919 a Scapa Flow, nelle Orcadi, quando 74 unità della flotta militare tedesca si autoaffondarono per non consegnarsi agli inglesi". 

E se i relitti sommersi, almeno quelli nella fascia costiera (entro i 50-70m) delle acque siciliane, piacciono particolarmente a subacquei e a pescatori con le lenze, non di meno rappresentano un vero e proprio luna park per una miriade di organismi viventi, vegetali e animali. "Per le piante si va da un'alga esotica invasiva (Caulerpa racemosa), che sembra deliziarsi sulle lamiere del Carmelo Lo Porto (a Favignana), ormai indistinguibili per il rivestimento di spugne e altri organismi incrostanti, alla Posidonia (una pianta superiore, spesso scambiata per un'alga), che ha trovato molto comodo insediarsi e svilupparsi sulla tolda di Elphis, poggiato a meno di 20 metri di fondo nella ex tonnara di Maraone e Formica, due isolotti dell'arcipelago delle Egadi”, prosegue Ragonese. In questi relitti era facile incontrare, prima della malattia che ne ha decimato le popolazioni, anche il più grande mollusco bivalve mediterraneo, la nacchera (Pinna nobilis). Mentre in quelli più profondi la parte da leone, fra gli organismi bentonici (che vivono a contatto con il substrato), la fanno di gran lunga le splendide gorgonie, le spugne multicolori e le trasparenti claveline.

 

 

 

 

posidonia

“Non parliamo poi delle aragoste che da piccole si incuneano nelle più minute asperità formate dal bentos incrostante (soprattutto sulle ancore rimaste pietrificate alle fiancate), e da grandi negli anfratti formati dalle lamiere contorte”, aggiunge ancora Ragonese. “Innumerevoli anche le specie di pesci che brucano sulle lamiere, come le salpe e i saraghi, i giganteschi granchi o le vere regine dei relitti: le cernie. A Tramontana di Trapani, nel relitto di una grande nave cisterna, il Pavlos I, si aggira un probabile grosso maschio di cernia bruna fra i 20 ed i 30 chili”. Molti appassionati vengono da tutto il mondo per fotografare i relitti e la flora e fauna associate. “Oltre a divenire nel tempo un'oasi lussureggiante di vita marina e formidabili attrattori di turismo subacqueo, i relitti sommersi lungo la fascia costiera siciliana, specialmente se poggiano su fondali sabbiosi, possono svolgere anche un'azione di baluardo contro la devastante pesca a strascico. Ancora aperta, invece, la discussione sulle potenzialità dei relitti come promotori di vita e volano di economia attraverso la pratica detta dello scuttling, ovvero l'affondamento volontario di navi dismesse (addirittura anche portaerei), dopo un'appropriata bonifica dei materiali (come olii, carburanti, amianto etc.)”, ribadisce il ricercatore del Cnr-Irbim.

Un altro sogno, simile a quello del prof. Otto Lidenbrock, di suo nipote Axel e della loro guida Hans nel "Viaggio all'interno della Terra", anima da tempo la comunità scientifica: scendere nelle viscere del Pianeta per capire come è fatto e conoscere le forme di vita ormai estinte. L'obiettivo non è stato ancora raggiunto, ma la perforazione Superdeep Borehole di Kola, nell'estremo nord-ovest della Russia, è arrivata a ben 12,262 km. “L'assottigliarsi della crosta oceanica, infatti, rende il mantello più vicino e offre ai ricercatori di tutto il mondo la grande sfida di portare alla luce la storia di milioni di anni", afferma Giorgio Tranchida, dell'Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino (Ias) del Cnr. "Ma la geologia marina si dedica anche allo studio degli strati più superficiali dei fondali marini per analizzare l'epoca più vicina e gli effetti dell'azione umana sull'ambiente”.

Già in pochi centimetri di fondale è possibile capire, ad esempio, come la realizzazione di un porto possa alterare il naturale regime delle correnti costiere che regolano la distribuzione dei sedimenti sulle spiagge o come la regimentazione e cementificazione dei corsi d'acqua possano sottrarre sedimenti che avrebbero raggiunto il mare. “Le analisi bio-geochimiche, inoltre, sono un utile strumento per valutare se elementi nocivi possano aver contaminato il sedimento, come alcuni composti organici e inorganici utilizzati nei processi di lavorazione industriale e in attività agricole intensive che così finiscono in mare. Le analisi isotopiche di Carbonio e di Ossigeno eseguite sul guscio dei foraminiferi (organismi rappresentati in tutte le comunità marine) possono inoltre dare utili informazioni sulle variazioni climatico/ambientali che hanno caratterizzato l'ultimo secolo”, continua il ricercatore.

Sedimenti marini superficiali hanno mostrato anche elevati contenuti di microplastiche, segni evidenti di un crescente impatto antropico. “Queste indagini aiutano a comprendere come mitigare o abbattere tale impatto, offrendo al mondo produttivo e al legislatore informazioni utili per uno sfruttamento più razionale della risorsa mare”, precisa Tranchida. Tra i progetti più recenti, il Cisas (Centro internazionale di studi avanzati su ambiente, ecosistema e salute umana) si propone di studiare i processi di trasferimento di contaminanti convenzionali ed emergenti dall'ambiente all'ecosistema e quindi all'uomo, e il Maginot (sistema integrato per il monitoraggio e la tutela dell'ambiente urbano extraurbano e marino) tenta di mettere a sistema un monitoraggio ambientale in tempo reale multi-matrice (aria, acqua, sedimenti). “Negli ultimi anni l'arricchimento di conoscenza ha reso l'uomo comune più consapevole e responsabile delle conseguenze e delle insidie che scaturiscono da uno sfruttamento irrazionale delle risorse”.

 

Fonte: Sergio Ragonese , Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine, email sergio.ragonese@cnr.it

Fonte: Tranchida Giorgio , Istituto per lo studio degli impatti Antropici e Sostenibilità in ambiente marino, email giorgio.tranchida@cnr.it

 

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