Extravergine di oliva, nuovi metodi di controllo
Sono i marcatori basati sul Dna, messi a punto dall’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr, capaci di evidenziare le varietà di olivo e le eventuali frodi commerciali rappresentate dall’uso di varietà meno pregiate o di origine diversa da quella dichiarata. L’analisi di questa molecola permette inoltre di verificare la presenza di una miscela o l’adulterazione con oli di altre specie
È “l’oro giallo” della Dieta mediterranea: l’olio extra vergine d’oliva è ricco di proprietà benefiche e la sua produzione è il fiore all’occhiello della filiera agroalimentare italiana. Apprezzato come condimento “a crudo” sulle insalate e come preparazione base della maggior parte dei piatti italiani, ne basta qualche goccia per dare vigore e sapore anche agli alimenti più semplici. Tali qualità fanno dell’olio extravergine uno tra i prodotti più contraffatti e fonte di guadagni elevati ai danni del consumatore. Uno degli espedienti consiste nella miscelazione dell’olio buono con altri di minor qualità, oppure, nei casi più gravi, nella vendita di prodotti derivati da oli non commestibili, che vengono opportunamente e chimicamente modificati per renderli utilizzabili, ma che, di fatto, sono di qualità ai limiti della commestibilità, come l’olio di sansa o il lampante. Presso l’Istituto di bioscienze e biorisorse (Ibbr) del Consiglio nazionale delle ricerche di Perugia sono stati sviluppati marcatori basati sul Dna, in grado di discriminare numerose varietà di olivo e, quindi, anche di rilevare eventuali frodi. Tali analisi sono a disposizione degli olivicoltori che vogliano autocertificare il loro prodotto o esportarlo verso paesi che richiedono questa sorta di “carta di identità”, oppure per le industrie olearie che hanno bisogno di accertare la composizione varietale delle partite di olio extravergine che comprano sul mercato per poi imbottigliarlo e venderlo con il proprio marchio.
“L’olio extravergine di oliva (comunemente abbreviato con la sigla Evo) è il prodotto ottenuto dalla spremitura delle olive mediante processi esclusivamente meccanici e fisici, senza l’ausilio di solventi o prodotti chimici. Per essere classificato come extravergine, secondo le norme vigenti, deve rispondere a determinati parametri di qualità, come ad esempio l’assenza di difetti nel profilo aromatico all’analisi sensoriale”, spiega Luciana Baldoni del Cnr-Ibbr. “Le caratteristiche derivano dalla combinazione di tre fattori principali: le varietà, il territorio e il processo di estrazione. Alla ricchezza del patrimonio varietale e alla diversità dei territori di produzione corrisponde un'offerta di oli Evo che si differenzia per composizione, caratteristiche organolettiche e valore commerciale”.
Alcuni fra i più importanti oli di oliva italiani sono protetti da marchi di origine (Dop, Igp), brand commerciali o altre forme di tutela della composizione e origine territoriale. “Gli oli extravergine di oliva in commercio vengono continuamente sottoposti ad analisi chimiche, per verificare la corrispondenza dei parametri dichiarati in etichetta, come pure all’esame di tracciabilità documentale sulla loro origine. Tali determinazioni non consentono però di risalire alla loro composizione varietale, che possiamo rilevare solo attraverso l'analisi del Dna, l’unica molecola che può discriminare ciascuna varietà e che può essere replicata in vitro a partire da piccole tracce che rimangono in sospensione nell'olio in forma di micromicelle”, chiarisce la ricercatrice. “Attraverso queste analisi molecolari verifichiamo eventuali frodi commerciali rappresentate dall’uso di varietà meno pregiate o di origine diversa da quella dichiarata. L’analisi del Dna permette inoltre di verificare la presenza di miscele di più varietà o l’adulterazione con oli di altre specie”.
L’analisi basata su marcatori a Dna può essere di supporto alle Agenzie di controllo e lotta alle frodi (es. Nas, Icqrf, Guardia di finanza, Dipartimenti di prevenzione delle Asl), anche se questa metodica non è ancora stata riconosciuta come metodo ufficiale accreditato, ma può essere eseguita solo su base volontaria, su espressa richiesta dei committenti e, per tale ragione, i risultati non possono essere usati nel caso di controversie legali. “I nuovi test diagnostici, in grado di discriminare in maniera incontrovertibile le varietà impiegate, potranno venire utilmente impiegati in futuro per la protezione commerciale degli oli di oliva extravergine più rinomati e territorialmente riconosciuti”, conclude la ricercatrice.
Fonte: Luciana Baldoni, Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr luciana.baldoni@ibbr.cnr.it