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Bravi si diventa. Se si vuole

Albert Einstein
di Rita Bugliosi

Da studi condotti su individui intellettualmente molto dotati è emerso che a renderli tali nelle competenze in cui eccellono non sono caratteristiche particolari del loro cervello, ma l’applicazione continua, quotidiana di una particolare funzione cognitiva. Ne abbiamo parlato con Antonio Cerasa neuroscienziato dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Cnr

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Riuscire a capire cosa rende così intelligenti le persone mentalmente molto dotate ha sempre suscitato grande interesse, tanto che per cercare di scoprirlo l’anomatopatologo Thomas Harvey, nel 1955, prelevò ed esaminò il cervello di Albert Einstein. Dagli studi non emerse però nulla di particolare a livello globale, ma guardando invece più in profondità nella struttura delle singole aree emerse una particolarità del cervello del fisico tedesco, come ricorda Antonio Cerasa dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica (Irib) del Cnr: “Una minuscola porzione di corteccia (strato di sostanza grigia che riveste la superficie esterna degli emisferi del cervello), sfuggita alle prime analisi, sembrava avere una forma completamente diversa dalla media dei cervelli umani. Questa parte si trova dentro l’area parietale e precisamente nel giro sopramarginale. Infatti, andando a misurare la forma di questa piccola area della corteccia, si è notato un incremento di grandezza superiore del 15%. Quindi, secondo la ricerca scientifica, la base neurobiologica dell’intelligenza di Einstein risiedeva in un’area cerebrale coinvolta nell’immaginazione visiva, nell’elaborazione visuo-spaziale e nella manipolazione mentale di oggetti”.

Gli studi sul cervello umano per comprendere quali siano i marcatori che caratterizzano gli individui intellettualmente dotati sono proseguiti negli anni, portando a conclusioni forse diverse da quelle che ci si aspettava. “Dopo quasi 100 anni di ricerche, quello che sappiamo oggi è che le persone chiamate ‘gifted’ (superdotate) non sono diverse da noi e che tutti possiamo diventare superdotati, come ha rivelato il filone di ricerca dedicato all’‘expert brains’, che indica quella categoria di individui che, grazie a un estenuante allenamento, hanno sviluppato una particolare abilità ed eccellono in essa, tanto che il loro cervello si è modellato di conseguenza”, precisa il ricercatore del Cnr-Irib.

Cuochi

Questo settore di studio ha fornito negli ultimi 20 anni, anche grazie alle ricerche di neuroimaging, conoscenze scientifiche utili a spiegare quale sia la natura cerebrale e cognitiva di persone super esperte in vari ambiti, come i musicisti, gli scacchisti, gli architetti, gli chef, i matematici, ma anche i sommelier e gli alpinisti. “Ciò che rende il nostro cervello ‘più intelligente’ è semplicemente l’applicazione continua, giornaliera, costantemente migliorativa di una particolare funzione cognitiva. Per fare degli esempi pratici, nei tassisti di Londra si è visto che la loro straordinaria capacità di orientamento spaziale era associata a un aumento di volume dell’area deputata alla memoria episodica: l’ippocampo. Nello specifico, gli anni passati a svolgere questo lavoro hanno portato a modificazioni di questa zona del cervello per cercare di rendere le loro abilità sempre più efficaci nel trovare nuove soluzioni al traffico giornaliero”, spiega Cerasa. “Se prendiamo invece il cervello degli chef, le mie ricerche hanno dimostrato che gli anni di esperienza nel dirigere una brigata e l’aumento costante dei cuochi da coordinare in cucina ha prodotto una trasformazione nell’area cerebrale deputata alla pianificazione cognitiva e alla programmazione motoria: il cervelletto. In altre parole, se dopo 10 anni di lavoro sono passato a dirigere in cucina da 2 a 12 cuochi, questo significa che le mie abilità di coordinamento del lavoro dei miei colleghi è aumentata costantemente nel tempo, e questa migliore abilità si riflette in una modifica visibile a livello cerebrale, con un aumento di materia grigia dell’area deputata a coordinare e sincronizzare sia il flusso dei nostri pensieri sia quello delle nostre azioni”.

Un capitolo a parte meritano categorie come i sommelier e i profumieri, professionisti che hanno in comune una spiccata sensibilità e una notevole capacità nel discriminare e abbinare gli odori. “Anche in questo caso è stato scoperto che gli anni di lavoro nel migliorare giorno per giorno le capacità di abbinare odori a emozioni, pensieri e ricordi hanno prodotto un aumento di materia grigia nelle aree del sistema limbico (complesso di strutture encefaliche che ha un ruolo chiave nelle reazioni emotive, nelle risposte comportamentali, nei processi di memoria e nell'olfatto)”, continua l’esperto.

Ci sono infine i cosiddetti “super intelligenti”, in senso generale. “Si tratta in realtà di persone che hanno straordinarie capacità di memorizzazione. Esistono, ma sono molto rare e hanno dalla nascita questa dote, che sembra sia in parte dovuta a una predisposizione genetica. Tutte le altre - dall’abilità nel programmare al velocizzare l’apprendimento delle nozioni, fino al multitasking - sono abilità con cui non si nasce, ma che possono essere acquisite con l'applicazione”, conclude Cerasa.

Fonte: Antonio Cerasa, Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica, antonio.cerasa@irib.cnr.it

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