In un’Italia alle prese con la fase del secondo dopoguerra, Delia (Paola Cortellesi) è una donna che vive con marito, suocero e tre figli, costretta a fare più di un lavoro, oltre a quello della casalinga, per dare una vita dignitosa ai suoi cari. Nella pellicola “C’è ancora domani”, diretta e interpretata da Paola Cortellesi, si racconta, in bianco e nero, la dimensione di una donna vessata e marginalizzata sia all’interno che al di fuori delle mura domestiche. “In quegli anni la condizione della donna era comune a tutti gli strati sociali. Nel film della Cortellesi c'è una scena che racconta molto bene la trasversalità della posizione femminile, diffusa anche nei ceti più abbienti. Quando la protagonista va a riscuotere la paga per il lavoro che svolge presso una famiglia agiata assiste a un dialogo sulla situazione politica italiana, durante il quale la padrona di casa viene zittita sia dal marito che dal figlio per aver espresso la propria opinione. Questo episodio lascia intendere in maniera netta come, nonostante lo status culturale ed economico delle due donne fosse estremamente diverso, entrambe fossero state relegate al ruolo di moglie e madre”, spiega Mattia Vitiello, ricercatore dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr.
Nel lungometraggio si racconta di un passaggio storico per la donna in Italia: la conquista del diritto al voto nel 1946. “Il raggiungimento del suffragio universale, quando le donne sono state chiamate per la prima volta a votare, è senza dubbio un momento di fondamentale rilievo, non solo per la condizione femminile, ma più in generale per l'avanzamento della nostra società. Ma anche il riconoscimento del diritto all'aborto, 30 anni dopo, è stato di significativa importanza, perché ha consentito alla donna di controllare la gestazione di una gravidanza, con la libertà di scegliere e di gestire il proprio corpo e i comportamenti riproduttivi”, commenta il ricercatore.