Focus: Marco Polo

Le fortune della Serenissima

Venezia
di Naomi Di Roberto

Venezia è stata per anni uno dei porti più importanti del Mar Mediterraneo. Città natale di Marco Polo, che da qui partì per l’Oriente, viene ricordata più in generale come un territorio di incontro tra varie culture per gli scambi commerciali. Angela Pomaro, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine del Cnr, illustra la situazione climatica di quel tempo, che ha influito positivamente sui trasporti marittimi della città

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La città di Venezia, oltre a essere una delle principali città d’arte della nostra penisola, è stata per anni anche uno dei porti più importanti del Mar Mediterraneo. Attraverso la “Via della seta”, ossia quell’insieme di rotte, accordi commerciali che conducevano fino alla Cina, i mercanti veneziani portavano a casa spezie, cereali e tessuti preziosi: una via che permetteva non solo lo sviluppo di affari commerciali, ma soprattutto l’incontro culturale e lo scambio di idee e tecniche con l’Oriente. Ma qual è stata la vera fortuna di questa spedizione? “Il Mediterraneo, zona di transizione fra le perturbazioni associate alla corrente a getto e il caldo clima africano, è ed è sempre stato estremamente sensibile a piccole variazioni della circolazione atmosferica e quindi della condizione climatica generale”, afferma Angela Pomaro dell’Istituto di scienze marine (Ismar) del Cnr.

Nel XIII secolo Marco Polo, seguendo il padre e lo zio, si inoltrò, partendo da Venezia, verso la lontana Cina, percorrendo la Via della seta al contrario. Questo viaggio era già stato tentato da diversi mercanti, ma solo la spedizione veneziana di Marco Polo riuscì nell’intento di arrivare realmente in Oriente. Ne “Il Milione”, Marco Polo fa così un resoconto del suo lungo viaggio, riuscito nonostante le insidie climatiche del tempo. “Si parla oggi di ‘optimum climatico’, come dedotto dalla documentazione non solo storica, ma anche dalle condizioni naturali rilevate dall’analisi degli anelli di accrescimento degli alberi più antichi e/o dai depositi lacustri”, spiega la ricercatrice del Cnr-Ismar.

“Con ‘optimum climatico’ si indicava il periodo di tempo compreso tra il IX e il XIV secolo circa, in cui sono state registrate particolari condizioni climatiche, caratterizzate da un clima insolitamente caldo e favorevole per alcune aree geografiche, tra cui le isole britanniche a cui faceva riferimento lo studio di Hubert Lamb, che coniò questo termine nel 1965”.

Antica piantina

Eventi meteorologici avversi connessi ai pattern di circolazione hanno effetti non trascurabili sul sistema generale dei trasporti, soprattutto marittimi, in quanto è possibile che le navi non siano in grado di lasciare i porti in sicurezza o che prendano rotte diverse, a volte più lunghe, a causa della scarsa visibilità, delle tempeste, delle maree o dell'alto livello del mare, che rappresentano un rischio non solo per l'equipaggio della nave, ma anche per le merci trasportate. “Questa situazione ha certamente favorito l’esplosione marittima del periodo, spingendo ad avventure che qualche secolo prima potevano essere ritenute proibitive. Volendo suggerire un parallelo tra esplorazioni geografiche e condizioni meteorologiche, il dominante flusso da occidente delle nostre latitudini è stato in un certo senso la molla a muoversi in quella direzione”, aggiunge Pomaro. “La recente crisi climatica ha attirato l’attenzione sulle variabili condizioni di vento e onde nel Mediterraneo. E di questo occorre tener conto anche nel giudicare la navigabilità del passato, specie quando, fino a meno di due secoli fa, solo il vento e i remi erano i mezzi propulsori”.

A proposito di questo, è importante inoltre fare un piccolo cenno al fatto che anticamente, le conoscenze geografiche e/o di toponomastica erano ridotte per cui l’utilizzo delle mappe non era agevole. “La rappresentazione adottata nel passato non sempre vede il nord geografico posto in alto. Ciò sta a documentare lo scopo per cui le mappe erano realizzate, scopo sovente connesso all’esplorazione e alla navigazione verso territori diversi da quello di partenza.

Il confronto tra mappe antiche e attuali conoscenze, informazioni e disponibilità di dati documenta, da un lato, l’evoluzione delle linee di costa e, dall’altro, l’evoluzione stessa della cartografia come tecnica di rappresentazione che oggi può cogliere aspetti un tempo non osservabili, come l’andamento dei fondali (batimetrie), ovvero la terza dimensione della mappa. Si passa quindi da una visione bidimensionale a una tridimensionale, in cui il mare e la sua profondità, rappresentata prima come valori puntuali e successivamente come curve di livello, oggi, è rappresentabile attraverso un modello digitale del terreno”, conclude la ricercatrice. “A questo l’evoluzione della ricerca scientifica consente di aggiungere oggi una quarta dimensione, ovvero quella del tempo, che permette di cogliere l’evoluzione temporale del territorio: l’estensione dell’Adriatico che cambia in funzione delle variazioni del livello del mare, per formazione o scioglimento dei ghiacci polari, e la circolazione delle masse d’acqua, al suo interno, che cambia in funzione delle stagioni e del clima”.

Fonte: Angela Pomaro, Istituto di scienze marine, angela.pomaro@cnr.it

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