Cinescienza: Marco Polo

La corona di carta

L'imperatore bambino in una scena del film
di Danilo Santelli

“L’ultimo imperatore” è il film di Bertolucci, vincitore di nove Oscar, ispirato alla vita di Pu Yi, che fu il regnante con il quale la Cina ultimò la fase imperiale per passare poi a quella repubblicana, nella prima metà del Novecento. Alberto Guasco, storico dell’Istituto di storia dell’Europa mediterranea del Cnr, ci racconta l’esperienza drammatica dell’imperatore bambino, che terminò la sua esistenza da cittadino comune, dopo essere stato anche giardiniere

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Nel 1989 esce il lungometraggio “L’ultimo imperatore” diretto da Bernardo Bertolucci, incentrato sulla vita di Pu Yi, che fu eletto imperatore della Cina a due anni d’età e che, succedendo allo zio, rimase sul trono per soli tre anni. Il biopic, ispirandosi all’autobiografia dello stesso Pu Yi “Sono stato imperatore”, fece conoscere al grande pubblico la parabola di un’esistenza tormentata che attraversa la storia della Cina nel secolo scorso. Il film fruttò al regista molti riconoscimenti internazionali, tra cui nove Oscar.

“Quando era soltanto un bambino, nel 1908, fu scelto come imperatore, ultimo della dinastia manciuriana Qing, per succedere al trono di Guangxu. Il padre fu nominato suo tutore ma nei fatti il potere era in mano ai mandarini, i funzionari della corte imperiale. In quella fase storica il contesto interno al Paese era stato fortemente influenzato dagli esiti della guerra tra Russia e Giappone del 1904-1905; la vittoria di quest’ultimo aveva in qualche misura dato forza alle lotte anticoloniali di vari Stati asiatici, seppur con alterne conseguenze”, spiega Alberto Guasco, storico e ricercatore dell’Istituto di storia dell’Europa mediterranea (Isem) del Cnr. “Va detto che la Cina guardava al Giappone in maniera ambivalente: se da un lato lo considerava una minaccia militare alla sua indipendenza, al contempo rappresentava l’emblema dell’emancipazione nei confronti di un modello egemonico di stampo occidentale. Successivamente, quando l’imperatore decise di affidare a imprese straniere il controllo della rete ferroviaria cinese nel 1911, si scatenarono i sommovimenti che portarono alla caduta dell’Impero, la spallata finale a una situazione interna che aveva già cominciato a ribollire da tempo”.

Locandina del film L'ultimo imperatore

Dal momento in cui venne proclamata la Repubblica cinese, Pu Yi mantenne il titolo di imperatore, ma fu costretto a vivere segregato all’interno della Città proibita, a Pechino. Quando venne meno l’influenza della Russia sulla Cina, anche considerando la situazione sociale e politica che portò alla rivoluzione nel 1917 e che costrinse i Russi a un maggior impegno sul fronte interno, cominciò ad aumentare esponenzialmente l’ingerenza giapponese, che divenne una vera e propria occupazione militare nel 1931. “In un Paese che viveva una condizione di sostanziale anarchia, dove non c’era più un solo potere ma una contrapposizione aspra tra il movimento nazionalista e il partito comunista cinese, l’intervento del Giappone sancisce una sospensione, una tregua tra i due belligeranti, in nome di un nazionalismo che entrambe le forze indigene rappresentavano, anche se in forme diverse. Tuttavia, questo fronte interno alla Cina, appoggiato anche dall’Urss, non riuscì a impedire l’entrata dei giapponesi, che occuparono la Manciuria e crearono lo Stato fantoccio di Manciukuò. Pu Yi, messo sul trono del neonato Stato, finì sostanzialmente inghiottito da quasi 10 anni di presenza giapponese”, continua lo storico.

Nel 1945 gli effetti della Seconda guerra mondiale, con la sconfitta del Giappone e il ritorno dei Russi nel nord del Paese, costrinsero Pu Yi ad abdicare e a darsi alla fuga, ma venne intercettato, mentre era diretto proprio in Giappone, e catturato dagli stessi sovietici, i quali lo internarono in un lager dell’Urss per 5 anni. “Nel 1950 fu consegnato alla Repubblica popolare cinese di Mao, che lo costrinse a vivere per 9 anni in un campo di rieducazione. Il compimento del suo percorso rieducativo divenne così lo spot della propaganda cinese, che non si dimostrò indulgente nei confronti di quello che era stato un imperatore, visto che fu trattato come qualsiasi altro criminale di guerra, alla stregua di un cittadino comune, senza nessun tipo di privilegio. Infatti, nonostante il suo passato, venne reinserito nella società trovando impiego come giardiniere nel Giardino botanico di Pechino. Ripercorrendo le tappe della vita di Pu Yi, si delinea la drammatica rappresentazione di un imperatore che non ha mai avuto, di fatto, il potere, un uomo che è stato più un prigioniero che un regnante. Prigioniero del Giappone, della Russia e anche della sua Cina, in diverse fasi storiche”, conclude Guasco.

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