Saggi: Luoghi comuni

Quando il progresso correva su due ruote

Copertina del libro I vagamondi
di M. F.

Oggi la bicicletta e il cicloturismo sono due simboli del vivere e del viaggiare slow, ma questo mezzo di trasporto ha rappresentato un punto di svolta e accelerazione rivoluzionario, iconizzando un’epoca nel segno del progresso. È da questo scenario che prende le mosse il cronista sportivo Claudio Gregori nel suo “I vagamondi”, dedicato a scrittori e intellettuali, tra cui diversi scienziati, che sulla bicicletta hanno lasciato pagine e testimonianze di grande interesse

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Oggi la bicicletta e il cicloturismo sono due simboli del vivere e del viaggiare slow, con un sentore d’antico, ma quando questo nuovo mezzo di trasporto ha fatto la sua apparizione nelle società umane ha rappresentato un punto di svolta e accelerazione rivoluzionario, iconizzando un’epoca nel segno del progresso. È da questo scenario che prende le mosse il cronista sportivo Claudio Gregori nel suo “I vagamondi”, dedicato a scrittori e intellettuali – tra cui, non a caso, diversi scienziati – che sulla bicicletta hanno lasciato pagine e testimonianze di grande impatto. Un libro sicuramente curioso, come tutti quelli che riescono a far cogliere l’evoluzione dei tempi attraverso aspetti apparentemente accessori dei protagonisti: tanto da far perdonare all’autore qualche eccessivo entusiasmo aneddotico e l’omissione di qualche importante ritratto nella galleria.

Si va da Arséne Lupin, lo scassinatore gentiluomo, con il suo creatore Maurice Leblanc, a Emilio Salgari, che gareggia per i colori del Veloce Club Verona; dalla pioniera del cicloturismo letterario in Italia, “una bella scrittrice americana dagli occhi azzurri e dai capelli neri: Elisabeth Robins Pennell”, ad Alfred Jarry, padre insolente, corrosivo e blasfemo di tante avanguardie. Leggiamo nelle loro vite e nelle loro righe invenzioni verosimili, spacconate incredibili, anticipazioni sorprendenti su temi come il doping e l’agonismo esasperato che questo sport massacrante ha sempre prodotto come metastasi.

Ateismo, anticlericalismo e razionalismo connotano, non a caso, molti intellettuali ciclisti come Jarry e Zola; così come alle due ruote si legano alcuni ricercatori che hanno letteralmente sconvolto la conoscenza umana, come Marie Curie o Albert Einstein, giusto per dirne due. “La famiglia Curie è l’unica nella storia a vantare quattro Nobel: due con Marie uno con Pierre uno con Irène. Tre ciclisti. Quattro Nobel”, riassume Gregori. Che, sempre a proposito di coincidenze tra eccellenze assolute, riporta un altro episodio: “Uno scontro tra due letterati ciclisti è raro. Uno scontro tra due futuri Nobel è incredibile. Questo evento eccezionale è accaduto nella discesa verso Tintern Abbey, la prima abbazia cistercense del Galles”. Tutta colpa di George Bernard Shaw e Bertrand Russell, che conquistarono il premio a 25 anni di distanza uno dall’altro. “L’immagine di Einstein che sfreccia nel campus del CalTech, il California Institute of Technology a Pasadena nella contea di Los Angeles - annota poi - è un’icona a un tempo della storia della scienza e di quella della bicicletta. La foto risale all’inverno del 1931”.

Se alle vette del pensiero e della letteratura si aggiungono gli “abissi” delle passioni più travolgenti, sempre restando nel clima di tumulto culturale dell’epoca, troviamo tra gli innamorati della bicicletta – oltre a Marie Curie che si innamora del collega Paul Langevin, di cinque anni più giovane e sposato con quattro figli – la scrittrice Colette, il cui esordio si lega proprio a una cronaca sportiva, “la polvere bianca della strada si solleva come la nuvola di vapore che nasconde a teatro uno spirito maligno” e Simone de Beauvoir che con il compagno Sartre (Castor e Kobra i loro nomignoli nell’intimo) e le loro studentesse formano “triangoli peccaminosi stupefacenti”.

La bicicletta è peccato, come scrive Olindo Guerrini quando il sedicenne figlio Guido gli confida il suo amore per la bicicletta, “le peccaminose relazioni tra l’adolescente innamorato e la macchina seduttrice erano già consacrate e consumate”. Ma naturalmente anche lui sarà conquistato dal prodigioso mezzo di locomozione. Non per nulla Guido Gozzano scrive “Le due strade”, la “più bella poesia sulla bicicletta d’inizio Novecento. Una risposta squillante ai ciclofobi che sostenevano l’origine satanica della bicicletta corruttrice dei giovani”. Ma il certame poetico sulle due ruote non è roba da poco, si pensi solo a Giovanni Pascoli con “La bicicletta”, contenuta nei “Canti di Castelvecchio”: “Il poeta usa la metafora del viaggio in bicicletta per ricordare la fugacità della vita l’impossibilità di fermare il tempo che corre”.

E poi ancora Edmondo De Amicis, Malaparte che in “Leux visages de l’Italie” racconta il duello tra Coppi e Bartali, Gadda che scrive di getto “L’Adalgisa” nel 1932 all’acme della rivalità Binda-Guerra, Hemingway che in A Farewell to Arms (Addio alle armi) assegna a quattro personaggi nomi di corridori: Aimo, Piani, Gordini e Bonello. Buzzati è cronista al Giro d’Italia, “un caposaldo del romanticismo assediato dalle squallide forze del progresso e che rifiuta di arrendersi”. La bicicletta comincia a diventare simbolo di nostalgia per l’infanzia perduta, individuale o collettiva che sia.  

Titolo: I vagamondi
Categoria: Saggi
Autore: Claudio Gregori
Editore: 66thand2nd
Pagine: 256
Prezzo: 18,00

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