Un buon Caffè
“Maestro delle mie brame” (Fazi Editore), scritto da Daniele Archibugi dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, racconta la vita e la misteriosa scomparsa di Federico Caffè. Attraverso la testimonianza di una delle poche persone che possono dire di aver conosciuto da vicino il grande economista, ne fa emergere aspetti inediti della personalità
Nelle 230 pagine di “Maestro delle mie brame” (Fazi Editore) Daniele Archibugi, ricercatore dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, ripercorre gli anni della frequentazione con Federico Caffè, quando da studente di economia “un po’ dispersivo” (per usare un eufemismo) riceve indicazioni e suggerimenti da quello che diventerà il suo “maestro”, facendo emergere anche aneddoti di quando, da bambino, lui e i suoi fratelli si divertivano a salire sulle spalle dello studioso e a giocare con lui. Franco Archibugi, il papà di Daniele, era infatti un caro amico di Caffè. L’amicizia si saldò durante gli anni del governo Parri, quando l’economista era Capo di gabinetto del Ministro Ruini e Franco (più giovane 12 di anni) lavorava nel suo staff. E continuò anche quando Caffè proseguì la sua carriera, prima al Servizio studi della Banca d’Italia e poi con l’insegnamento nelle Università di Messina, Bologna e infine Roma.
Nel volume sono riportati i passaggi di alcune lettere che i due amici si scambiarono nel corso degli anni e che offrono inediti scorci sulla sensibilità e sul carattere di Caffè. La narrazione diventa anche il pretesto per descrivere il clima culturale, politico e sociale del periodo in cui si dirama il racconto - tra il 1978 e il 1987 - in cui riecheggiano tragiche vicende della storia recente del nostro Paese, come l’uccisione di Ezio Tarantelli da parte delle Brigate Rosse nel parcheggio della facoltà di economia, evento destinato a scuotere la vita dell’economista e a contribuire all’acuirsi del suo stato di depressione.
Il racconto si interseca intorno all’Istituto di politica economica della Sapienza, dove Caffè aveva costruito la sua scuola. Con ironia, Daniele Archibugi ricostruisce un microcosmo accademico fatto di rapporti complessi e conflittuali, soprattutto nell’approssimarsi delle tornate concorsuali bandite per mettere in cattedra i futuri professori. Ne viene fuori una storia avvincente che fa emergere le grandissime doti umane, oltre che scientifiche, del professore, persona riservata e quasi austera, i cui insegnamenti hanno rappresentato la strada maestra per i percorsi professionali di molti membri della classe dirigente del nostro Paese. Sui suoi insegnamenti si sono formate intere generazioni di economisti tra i quali, solo per citare i più celebri, Mario Draghi, Ignazio Visco, Nicola Acocella, Ezio Tarantelli, Fausto Vicarelli, Giorgio Ruffolo, Marcello De Cecco, Bruno Amoroso ed Enrico Giovannini.
Da qui si capisce anche il vuoto lasciato dalla sua scomparsa. Federico Caffè è stato uno dei più importanti economisti italiani del XX secolo e ha rappresentato sicuramente il maggiore rappresentate del pensiero keynesiano in Italia. Da sempre sostenitore dell’esigenza di un welfare state e di sistemi di protezione sociale, metteva al primo posto la necessità di un veloce inserimento nel mondo del lavoro dei giovani per evitare la possibile dispersione di risorse umane e quindi di quel capitale intellettuale essenziale per lo sviluppo del Paese. Gli studenti che sono stati la sua fonte di energia sono stati ripagati dalla sua disponibilità a fornire loro supporto e conoscenze.
Alla sua vita accademica affiancava una riservata vita familiare proiettata verso il sostegno a un nipote ammalato, al fratello con cui viveva, anch’esso scapolo, alla madre e anche alla sua anziana tata. Tramite ricordi, aneddoti, foto e scambi di missive emerge la figura di un uomo che era anche un fine umanista e musicofilo (la sua passione per la musica fu messa da parte per cercare un’occupazione più concreta e remunerativa), oltre che un austero e riservato studioso, sempre contraddistinto sia come persona sia come docente dall’atteggiamento di “voler dare senza ricevere”.
Ciò che emerge in maniera cristallina dal racconto è il rapporto dello studioso con gli studenti e gli allievi. Caffè si dedicava completamente ai suoi studenti, creando legami per la vita. Oltre il numero crescente dei lutti e delle difficoltà familiari, il distacco dall’insegnamento che costituiva “la sua inesauribile carica di energia” e il fatto di non potersi più dedicare ai suoi amati studenti, unito all’ondata delle teorie neoliberiste che in quegli anni dominavano il pensiero economico rendendo ai suoi occhi le sue teorie come ormai superate e obsolete, probabilmente furono la causa che lo portò, nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1987, a uscire dalla sua casa a Monte Mario e far perdere le proprie tracce. Archibugi fu tra i primi a recarsi a casa sua quando scomparì, esplorò le zone frequentate da Caffè, si strinse intorno al fratello e ai nipoti, tenne i rapporti con la Questura e con la stampa, cercò anche informazioni per valutare la possibilità che si fosse rinchiuso in un convento senza lasciare tracce, fu addirittura interrogato dai servizi segreti.
Dopo decenni dalla scomparsa, il racconto fa emergere come Caffè sia stato in grado di lasciare un segno indelebile in tutti coloro che l’hanno conosciuto. Un plauso particolare deve, quindi, essere riservato al ricercatore del Cnr per aver reso pubblica una storia di un grande protagonista della vita accademica, culturale e politica. Mettendo in rilievo come sia importante per la crescita (umana e professionale) dei giovani avere punti di riferimento che siano in grado di incoraggiare e mettere a disposizione degli altri le proprie energie e il proprio sapere.
Titolo: Maestro delle mie brame
Categoria: Specialistica
Autore/i: Daniele Archibugi
Editore: Fazi
Pagine: 236
Prezzo: 18,00