Non stuzzicare il polpo che sogna
Li vediamo sussultare, scodinzolare, cambiare colore durante il sonno. Ma gli animali sognano? Certamente sì. Anche loro hanno, infatti, una fase Rem e non-Rem, come ci spiega Elsa Addessi, ricercatrice dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Cognitive Primatology & Primate Center c/o Bioparco di Roma) del Cnr
Spesso, quando dormono, li vediamo sussultare, scodinzolare, ringhiare o addirittura sorridere placidamente. E subito pensiamo a qualche bel sogno del nostro animale domestico. Ma gli animali possono sognare? Certamente sì, ma a differenza degli umani, non possono ricordare la fase onirica. Anche loro hanno, infatti, una fase Rem (Rapid eyes movement), il momento di sonno profondissimo del sognatore. E anche negli animali durante il periodo di sonno non-Rem l'attività metabolica del cervello è estremamente ridotta, come spiega Elsa Addessi, ricercatrice dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc), Cognitive Primatology & Primate Center, Roma del Cnr: “Il sonno Rem è caratterizzato da elevata attività cerebrale, paragonabile a quella registrata durante lo stato di veglia, e da rapidi movimenti oculari. In questa fase del sonno è molto frequente sognare: l’alternarsi di cicli di sonno Non-Rem e Rem permette pertanto una riduzione del dispendio energetico durante le fasi non-Rem, con conseguente diminuzione della temperatura corporea e cerebrale: il sonno Rem potrebbe quindi essersi inizialmente evoluto per aumentare la temperatura del cervello e mantenerne intatte le funzioni durante il sonno negli animali, con temperature corporee e tassi metabolici relativamente bassi, in cui la riduzione di temperatura durante il sonno non-Rem si sarebbe potuta rivelare fatale. È stato infatti osservato che la quantità di sonno Rem è inversamente correlata con la temperatura corporea media di ciascuna specie: quelle con temperatura corporea più elevata - come uccelli e mammiferi placentati - hanno sonno Rem di durata inferiore rispetto a specie con temperatura corporea inferiore - come mammiferi monotremi (echidna e ornitorinco) e marsupiali. Ci sono inoltre diverse evidenze che affermano come i rettili mostrino uno stato paragonabile al sonno Rem, ma queste evidenze non sono unanimi”.
Durata e caratteristiche del sonno nel regno animale variano quindi in modo rilevante con importanti implicazioni per comprendere evoluzione e funzioni del sonno anche nella specie umana: “Tra i mammiferi, il sonno quotidiano ha una durata variabile dalle 2 alle 20 ore, a seconda della specie. La durata del sonno non è correlata alle dimensioni del cervello o al rapporto tra dimensioni del cervello e peso corporeo, ma all’ecologia alimentare delle diverse specie, il che conferma che una delle funzioni del sonno sia quella di ridurre il dispendio energetico dell’organismo per alcune ore”, prosegue la ricercatrice. “Grandi specie erbivore (ad esempio elefanti, giraffe e bovini) dormono molto meno rispetto agli onnivori e ai carnivori, il che è coerente con il fatto che i grandi erbivori trascorrono la maggior parte del tempo svegli a mangiare poco cibo calorico. Gli elefanti africani (Loxodonta africana) in natura dormono in media circa 2 ore giornaliere, la quantità di sonno più breve registrata in qualsiasi mammifero, e trascorrono quasi tutte le ore di veglia mangiando o camminando alla ricerca del cibo. Al contrario, in cattività, dove vengono nutriti quotidianamente, gli elefanti dormono in media 4-5 ore al giorno. Invece l'animale che dorme più di tutti è il pipistrello bruno (Myotis lucifugus): in media, 20 ore al giorno. Si ciba infatti di insetti attivi solo al tramonto e durante il resto della giornata preferisce difendersi dai predatori e contemporaneamente limitare il proprio dispendio energetico dormendo al riparo”.
La durata del sonno può variare anche all'interno di una stessa specie, per temperatura ambientale, stato riproduttivo ed eventuali migrazioni. “Le renne (Rangifer tarandus) ad esempio sono molto più attive in estate (quando il cibo è maggiormente disponibile) che in inverno (quando la neve e il ghiaccio ricoprono la maggior parte della vegetazione commestibile)”, aggiunge Addessi. “Gli animali migratori, come il passero dalla testa bianca (Zonotrichia leucophrys), mostrano una notevole riduzione del sonno durante il periodo delle migrazioni. Anche quando alcune specie di uccelli migratori sono tenute in cattività, in corrispondenza del periodo in cui in natura migrerebbero, la durata del sonno si riduce notevolmente”.
La privazione del sonno, letale per gli umani, è in alcune specie animali può causare la morte. “Nei ratti, una riduzione della possibilità di dormire del 70%–90% porta alla morte entro 2-3 settimane. La privazione di sonno determina in questa specie un iniziale aumento della temperatura corporea e dell'assunzione di cibo, sebbene la massa corporea diminuisca rapidamente, lesioni cutanee e alterazioni della colorazione della pelliccia”, chiarisce l’esperta. “Successivamente, la temperatura corporea diminuisce rapidamente e subentra la morte. Tuttavia, altre specie animali possono sospendere o ridurre notevolmente il tempo trascorso dormendo per molte settimane (ad esempio durante il periodo postpartum o durante la stagione delle migrazioni) senza alcun conseguente debito di sonno. Il sonno dei cetacei è indistinguibile dal comportamento che mostrano durante lo stato di veglia tranquilla. È noto che i mammiferi marini possono dormire solo con metà cervello e che possono nuotare mentre dormono, come i delfini tursiopi (Tursiops truncatus) che mostrano sonno uniemisferico a onde lente. Questa tipologia di sonno probabilmente non determina il raffreddamento cerebrale osservato invece - durante il sonno non Rem - in altre specie di mammiferi. Questo forse permette ai cetacei di mantenere la necessaria coordinazione della funzione motoria e sensoriale. Contrariamente alle altre specie di mammiferi, non è stata inoltre riscontrata alcuna evidenza che i delfini, così come altre specie di cetacei, mostrino sonno Rem, probabilmente perché non hanno bisogno di innalzare la temperatura cerebrale, dato che questa non diminuisce. Inoltre, nelle orche e nei delfini la diade madre-piccolo è continuamente attiva per 4-6 settimane dopo la nascita, periodo in cui in molte specie di cetacei avvengono anche le migrazioni e in cui la pressione predatoria è massima, per cui è necessaria una vigilanza continua”.
Ritornando al mondo onirico, non esiste, secondo Addessi, un accordo unanime sulla definizione di sogno: “Lo studio dei sogni nella specie umana si basa principalmente su resoconti verbali delle esperienze oniriche, una metodologia che non può essere utilizzata con gli animali, il che rende difficile indagare la capacità di sognare in specie diverse dalla nostra. Tuttavia, è possibile indagare la capacità degli animali di sognare in maniera indiretta, attraverso l’osservazione, durante il sonno, di comportamenti presumibilmente indotti dall’attività onirica; comportamenti che si osservano quando il dormiente mette in atto alcuni eventi sognati. I rapidi movimenti oculari osservati durante il sonno Rem sembrano riflettere la scansione visiva della scena osservata nel sogno. Analogamente, i movimenti o le espressioni facciali osservate durante il sonno possono fornire una finestra sull'esperienza onirica dell’individuo. Ad esempio, durante il sonno gli animali domestici (gatti e cani) mostrano comportamenti di minaccia o agitano le zampe come se corressero. I polpi addormentati possono contrarre rapidamente occhi, ventose o braccia, mostrare aumentati tassi di ventilazione o rapidi cambiamenti nella colorazione cutanea non correlati all'ambiente in cui dormono. Analogamente, alterazioni nella colorazione cutanea e contrazioni delle braccia sono state osservate nelle seppie durante uno stato di quiescenza accompagnato da rapidi movimenti oculari, che possono essere considerati analoghi al sonno Rem”.
Un’altra modalità di indagare l’esperienza onirica degli animali non umani è lo studio della riattivazione, durante il sonno, di ricordi recentemente acquisiti durante lo stato di veglia, che permette di consolidare la memoria di quanto appreso. “Ad esempio, quando ratti di laboratorio sono collocati in un recinto, si attivano selettivamente alcuni neuroni che indicano la loro posizione nello spazio. Durante il sonno, tramite registrazioni neuronali, è possibile osservare una riattivazione di questi neuroni, probabilmente per consolidare la memoria dell’esperienza vissuta durante lo stato di veglia”, conclude la ricercatrice.
Fonte: Elsa Addessi, Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Cognitive Primatology & Primate Center, Roma), e-mail: elsa.addessi@cnr.it