L’attenzione per il Pianeta non è una moda
Licia Colò è uno dei volti più noti della tv italiana. Dagli anni ‘80 è autrice e conduttrice di programmi televisivi legati ai viaggi, all’ambiente e agli animali. Il suo nome è ormai quasi un sinonimo di sensibilità ecologica. Ci spiega quanto sia importante il contributo che ciascuno di noi può dare in questo settore
Nata a Verona, Licia Colò esordisce in televisione nel 1982 con il programma per bambini “Bim bum bam”, ma già dopo pochi anni diventa autrice a conduttrice di numerose trasmissioni televisive dedicate ai viaggi e all’ambiente, andate in onda prevalentemente su Rai, Tv2000, La7, quali “Kilimangiaro”, “King Kong - Un pianeta da salvare”, “Il pianeta delle meraviglie”, “Cominciamo bene”, “Dio li fa poi li accoppia”, “Madre Terra”, “Niagara”, “Eden”. Amante della natura e degli animali, si impegna da sempre per la loro tutela, sia attraverso i suoi programmi, sia con campagne di sensibilizzazione. Il suo impegno costante negli anni, oltre ad averle fatto ottenere numerosi premi e riconoscimenti, ha fatto sì che il suo nome diventasse sinonimo di attenzione per l’ambiente.
Si occupa da anni di divulgazione scientifica attraverso la televisione. Anche lei ha la sensazione è che i temi ambientali attraggano un pubblico sempre maggiore?
Non sono così tanto ottimista, nel senso che, sì se ne parla, guardando i numeri vediamo che c'è molta offerta televisiva. Un po’ tutti ci riempiamo la bocca di parole tipo ambiente, ecologia, natura, ma portare avanti queste tematiche è sempre una lotta dura. Da quando è arrivata la pandemia, poi, anche questi temi son passati in secondo piano. Prima si parlava molto di più del cambiamento epocale che si dovrebbe compiere a livello internazionale per abbassare la “febbre del Pianeta”. Poi c’è stato il Covid e ora siamo preoccupati per la guerra, che purtroppo è una tragedia, ma pur con la sua enorme gravità non può essere un motivo per dimenticare quello che sta accadendo alla Terra. Per questo spero che l’attenzione torni alta.
Le questioni ambientali sono solo "da giovani”?
I giovani hanno fatto tanto con Friday for future, però quant'è che non si sente parlare di Greta? Il discorso ambientale non può essere una moda. La Terra si ammala e guarisce con tempi molto lunghi, oggi raccogliamo gli effetti di ciò che le abbiamo fatto nell'arco di tanti decenni e migliorare la situazione non è un risultato che possiamo ottenere dall'oggi al domani. Con la pandemia abbiamo “perso” due anni e adesso siamo tutti preoccupati per l'energia, si vuole riprendere a sfruttare qualsiasi fonte, mentre proprio la tragedia del conflitto dovrebbe spingere verso le rinnovabili e una maggiore indipendenza energetica. Non possiamo rimandare a tempi migliori la tutela della salute del Pianeta, dobbiamo renderci conto degli effetti che ciò che facciamo oggi avrà in futuro.
“Eden, un pianeta da salvare” è la trasmissione di La7 dedicata alle “meraviglie della natura”. La bellezza del nostro Pianeta è un elemento mediatico su cui puntare per parlare di cambiamenti climatici?
Io ho puntato su quello, ma la comunicazione si può interpretare in tanti modi diversi. La maggior parte si sceglie di farla in maniera drammatica, diffondendo allarmismo. Io credo di essere fra i pochi che tenta di attirare l'attenzione su quello che rischiamo di perdere. “Eden” è un programma di intrattenimento, che parla di bellezza, al tempo stesso tentiamo di proporre tematiche importanti, accompagnandole con un messaggio positivo. Quando ci hanno chiusi in casa con il lockdown ci siamo resi conto del valore del verde, dell'ambiente e della natura: non a caso, l'estate successiva c’è stato il boom delle prenotazioni nei parchi nazionali.
Ne “Alla ricerca di Dory”, il parco oceanografico in cui il film di animazione è parzialmente ambientato porta il suo nome, quasi fosse un “marchio”, un sinonimo di sensibilità ambientale. Che effetto le ha fatto?
Ne sono stata onorata, mi ha fatto un immenso piacere. A livello internazionale, per ogni Paese dove il film è stato trasmesso, i produttori hanno scelto un personaggio simbolo, quindi è stata una cosa veramente molto bella. Porto avanti queste tematiche dal 1989, almeno sotto il profilo televisivo, quindi da un bel po’ di tempo. Non posso cambiare il mondo, ma faccio la mia parte. È quello che dico sempre anche a mia figlia.
Con i suoi documentari o reportage ha fatto fare, almeno televisivamente, il giro del mondo agli spettatori. La pandemia rischia di far dimenticare il viaggio fatto di persona a vantaggio di quello virtuale?
Oggi il mondo sembra molto più piccolo, rispetto a ieri. Mio papà era un pilota dell'Alitalia e, quando ero ragazza, quasi ogni luogo era aperto, raggiungibile con facilità, anche tutti i Paesi arabi. Pensavo che il futuro avrebbe reso il mondo sempre più aperto. Poi pian piano, dopo la primavera araba, abbiamo cominciato ad aver paura di andare in molti luoghi. Non è stata soltanto la pandemia a bloccarci, c’è anche la tensione internazionale. Oggi viaggiare non è più così facile ma mi auguro che non si perda la voglia di farlo. Certo, rimangono sempre i viaggi virtuali, come quelli che si fanno con la televisione, ma servono solo per informare. Le esperienze e i luoghi vanno vissuti sulla propria pelle.
In generale, qual è il suo rapporto con le nuove tecnologie e la remotizzazione di lavoro e relazioni personali e sociali?
Non la vedo come una cosa negativa. Un conto è viaggiare per conoscenza o per piacere, che arricchisce il nostro spirito, un altro è farlo per lavoro. Se dobbiamo solo tenere delle riunioni, spostarsi può essere una perdita di tempo che contribuisce all’inquinamento. Il fatto che la pandemia abbia insegnato a sfruttare le tecnologie che permettono di collegarsi a distanza o di lavorare da casa credo quindi siano positive. Certo, non bisogna estremizzare, perché il rapporto umano è fondamentale. Rita Levi Montalcini diceva che il computer sarebbe stato il futuro dell'uomo, ma che l'uomo non sapeva usarlo e ne diventava succube. Dobbiamo imparare a utilizzare le tecnologie in modo equilibrato.
C'è ancora un viaggio che non ha potuto fare?
Sì, mi piacerebbe andare nelle Isole Svalbard per vedere gli orsi bianchi che ho visto in Canada, nella baia di Hudson. Spero di poterli rivedere nell’arcipelago norvegese.
È protagonista di campagne come quella per il corretto smaltimento del vetro “bottiglia e vasetto, binomio perfetto”. Il testimonial è sempre utile per “educare”?
Secondo me sì. Io dico sempre che se avessimo più influencer che lanciassero dei messaggi tipo “attenzione all’ambiente”, “attenti al riciclo”, “bisogna smaltire o riciclare” e così via, si otterrebbero maggiori risultati. Sarebbe molto utile, anche se l'influencer non fosse un esperto d'ambiente ma di altri settori, per esempio di moda. Bisogna trovare il modo per sfondare la porta chiusa del menefreghismo, quindi qualunque personaggio famoso che promuova messaggi come si raggiungeranno maggiori risultati. Io, per quanto usi poco i social, ho sempre un feedback positivo con i follower, che mi manifestano un affetto impressionante, incredibile.
I maggiori costi energetici convertiranno la società dell’usa e getta al riuso, alla circolarità e alla riduzione dello spreco?
Credo di sì. Per esempio, complice anche l’attuale crisi economica, sono nate tante piattaforme dove si vendono abiti o oggetti usati. È un segnale che va contro la fast fashion e, in generale, contro l’usa e getta. Il fatto che si promuova tanto questo tipo di piattaforme significa che ci sono aziende che investono nel riuso, indica che qualcosa sta cambiando. Oggi non si aggiusta più niente, a non esistono più quasi neanche i calzolai, è difficile trovarne. Un tempo scarpe e abiti costavano di più ma duravano anni, oggi tutto costa meno ma dura anche meno e questo è negativo per la società e per il Pianeta. Il problema dello smaltimento dei rifiuti è terrificante: prima mandavamo in Cina molta della nostra immondizia, adesso la Cina non la vuole più perché lo smaltimento comporta un costo economico elevato. È come se pensassimo di avere un giardinetto e buttassimo i rifiuti nel giardino del vicino.
È solo una questione di educazione ambientale o servono anche gli interventi politici, normativi?
Un deterrente contro lo spreco, ad esempio, potrebbe essere dato dalle tasse sull'immondizia, ma si dovrebbero fare scelte mirate, con interventi governativi che puntino all’origine della produzione dei rifiuti. Non si può chiedere a una persona anziana di fare uno smaltimento complicato e districarsi tra una moltitudine di imballaggi diversi. Bisogna pretendere dal cittadino che faccia una raccolta differenziata corretta, sì, ma allo stesso tempo metterlo nelle condizioni di farla in maniera semplice. Si potrebbe anche promuovere lo sfuso all'interno dei supermercati, per eliminare tutte le confezioni non essenziali.