Modello animale, non se ne può fare a meno
Nonostante l'opposizione diffusa, lo studio e la cura delle malattie devono necessariamente passare per i test in vivo. Spiega perché Francesco Clementi dell'Istituto di neuroscienze del Cnr di Milano
Quando si parla di sperimentazione animale è difficile separare il piano emotivo da quello scientifico e l’opinione pubblica si divide tra pro e contro. Ma qual è la posizione della comunità scientifica?
“Al momento non possiamo assolutamente farne a meno”, afferma Francesco Clementi, dell’Istituto di neuroscienze (In) del Cnr di Milano. “Senza passare per il modello animale non è possibile studiare sistemi complessi quali il sistema nervoso centrale poiché al momento nessuno degli altri modelli validati o in via di validazione è in grado di fornire informazioni sull’organismo completo”.
Anche un caso tristemente famoso come quello della talidomide, farmaco assunto da molte donne incinte che causò la nascita di bambini focomelici alla fine degli anni '50, conferma questa imprescindibilità. “Il farmaco era stato testato in modo non approfondito su roditori, ma solo attraverso i successivi studi su altre specie animali si è riusciti a spiegarne l’effetto e da allora non si sono più verificati casi simili”, afferma il neuroscienziato: “Un successo recente è uno studio pubblicato su 'Science’ sul legame tra un vaccino, chiamato Pandemrix, e la narcolessia, che non si sarebbe potuto spiegare senza la sperimentazione sugli animali”.
D’altra parte, il lavoro dei ricercatori si ispira al principio delle '3 R’, proposto nel 1959 da William Russell e Rex Burch: replacement, reducement, refinement. Si utilizzano, quando possibile, modelli diversi da quello animale, mirando meglio gli esperimenti, in modo da ridurne il numero al minimo. “Conviene anche da un punto di vista economico. I costi dei modelli in vitro o in silico sono molto inferiori a quelli dei test in vivo”, spiega il ricercatore dell’In-Cnr, “ma i dati biomedici di background raccolti sugli animali servono a dare indicazioni ineludibili”.
Per refinement, invece, si intende il miglioramento delle condizioni degli stabulari esigenza che risponde a motivazioni etiche e scientifiche. La ricerca sperimentale in Italia è severamente controllata dal ministero della Sanità, che deve approvare ogni protocollo di ricerca e vigila, attraverso le Asl, sulle condizioni degli animali. “Il benessere degli animali incide positivamente sul successo della ricerca e sulla riproducibilità dei dati, dunque cerchiamo di sottoporli a meno stress possibile. Siamo per questo molto colpiti dall’azione di alcuni attivisti che, portando le cavie fuori dal nostro stabulario, le hanno condannate a morte certa”, continua Clementi, riferendosi al blitz del 20 aprile 2013 ai danni del Dipartimento di farmacologia della Statale di Milano.
In Italia, la Direttiva europea 63/2010 sul tema è stata recepita con alcune forti restrizioni. “Tra i limiti, il divieto all’uso di animali negli studi sugli xenotrapianti o sulle sostanze d’abuso, nonostante i milioni di persone che muoiono per patologie causate da fumo di tabacco”, dichiara lo scienziato.
Vista la delicatezza del tema, è molto importante un’informazione chiara e trasparente a riguardo. “Per questo ne parliamo molto nelle scuole, con docenti e studenti, perché tutti possano farsi una propria opinione, ma a partire da basi scientifiche e non solo da rispettabilissime istanze emotive”, conclude Clementi.
Fonte: Francesco Clementi, Istituto di neuroscienze, Milano, tel. 02/50316962 , email f.clementi@in.cnr.it -