Per la scienza ci vuole metodo
Nato da alcuni filosofi arabi che iniziarono a effettuare misurazioni per verificare teorie in competizione, il metodo scientifico è cambiato nei secoli, anche in ragione delle differenti branche della conoscenza, permettendo il raggiungimento di scoperte rivoluzionarie. Ne abbiamo parlato con due studiosi del Consiglio nazionale delle ricerche: Gilberto Corbellini, direttore del Dipartimento scienze umane e sociali, patrimonio culturale e Federico Focher, dirigente di ricerca dell'Istituto di genetica molecolare "Luigi Luca Cavalli Sforza" (foto:artwork drawn by Adolph Boÿ, engraved by Jeremias Falck)
Il metodo scientifico è un insieme di procedure, inventate e integrate in tempi successivi dall'uomo, per controllare empiricamente e formalmente le ipotesi attraverso le quali si propone di spiegare fatti e fenomeni naturali. “Si tratta del modo migliore per incrementare la conoscenza valida ed è la base dello straordinario successo conoscitivo, economico e morale dell'Occidente”, esordisce Gilberto Corbellini, direttore del Dipartimento scienze umane e sociali, patrimonio culturale (Dsu) del Consiglio nazionale delle ricerche.
In realtà, però, il metodo scientifico venne capito e descritto per la prima volta nel X secolo da alcuni filosofi arabi, che svilupparono delle procedure empiriche, inclusive di misurazioni, per verificare alcune teorie in competizione tra loro. “Nel 1021 Ibn al-Haytham (Alhazen), nella sua opera 'Il libro di ottica', fornisce una definizione molto vicina all'attuale di metodo scientifico, con una componente osservazionale, sperimentale e matematica”, continua il direttore del Cnr-Dsu. “Prima di Alhazen, lo studio naturalistico condotto da parte dei filosofi greci e cinesi ricorreva a osservazioni dirette, astrazione e formalismo matematico, che però non erano combinati sistematicamente. Un salto di qualità si ha con Galileo Galilei, grazie al quale il metodo ipotetico-deduttivo e il linguaggio matematico diventano le coordinate della scienza sperimentale. In 'Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze' (1638), Galileo usa esperimenti mentali basati anche su metodi sperimentali per dimostrare le leggi del moto, ovvero che il principio di inerzia era una spiegazione migliore rispetto alla teoria aristotelica dell'impeto”.
“L'approccio galileiano viene immediatamente seguito in campo naturalistico dall'aretino Francesco Redi, che confutò brillantemente, attraverso reiterate esperienze con i rispettivi controlli positivi e negativi, la generazione spontanea degli insetti (1668), introducendo così il metodo sperimentale anche nelle scienze biologiche”, prosegue Federico Focher, dirigente di ricerca dell'Istituto di genetica molecolare Luigi Luca Cavalli Sforza (Cnr-Igm). Dopo Galileo i principali sviluppi del metodo scientifico riguardano il principio di ripetibilità delle osservazioni, cioè il grado di concordanza in una serie di misurazioni del medesimo oggetto, difeso da Robert Boyle nel 1665, e l'uso della peer review, adottato dai Proceedings della Royal Society nel 1675, cioè la procedura di selezione da parte di specialisti del settore per ottenere la pubblicazione di articoli scientifici o il finanziamento di progetti di ricerca.
Il metodo scientifico continua a perfezionarsi nel corso dei secoli successivi. “Nel 1763 il reverendo Thomas Bayes pubblica un teorema per calcolare la probabilità di un fattore causale di un evento a fronte di una prova addizionale. A fine Settecento una commissione francese, composta tra gli altri da Benjamin Franklin e Antoine Lavoisier (nell'immagine di Louis Jean Desire Delaistre) , conduce una serie di esperimenti empirici per confutare il mesmerismo, controversa teoria secondo la quale la salute umana sarebbe dipesa da un fluido corporeo magnetico. Nell'Ottocento il fisiologo francese Claude Bernard definì il profilo del metodo sperimentale in medicina”, aggiunge Corbellini. “Negli anni Venti del XX secolo Ronald Fisher, padre della statistica moderna, fissò le coordinate del disegno sperimentale e, subito dopo la Seconda Guerra mondiale, vennero effettuati i trial clinici che avrebbero guidato gli sviluppi metodologici e politici per la sperimentazione clinica dei farmaci ovvero per stabilire l'efficacia di un trattamento”.
Il metodo scientifico si basa sullo stesso principio attraverso il quale la vita accumula nei genomi le informazioni sugli ambienti necessari all'adattamento. Per usare una battuta del filosofo austriaco Karl Popper, conclude il direttore del Cnr-Dsu: “La differenza tra un'ameba e Einstein sta nel fatto che l'evoluzione adattativa richiede l'eliminazione fisica degli organismi che non sanno risolvere i problemi, mentre gli scienziati eliminano le teorie sbagliate usando prove controllate”.
Nella seconda metà del '900 i biologi sperimentali iniziarono a criticare i metodi fino ad allora utilizzati dai filosofi della scienza. “Metodi viziati dall'essere elaborati sulla base dei risultati delle scienze fisico-matematiche in voga fino alla metà del 900”, spiega Focher. “La teoria secondo cui le scienze progrediscono mediante sporadiche rivoluzioni, proposta dall'epistemologo statunitense Thomas Kuhn quarant'anni or sono, se può essere valida per le scienze fisico-matematiche - ma oggi molti fisici sollevano dubbi al riguardo - certamente non si adatta a quelle biologiche. In queste ultime non si notano bruschi e traumatici cambi di paradigma quanto, più frequentemente, improvvise rivoluzioni in campo tecnologico. Come nel caso della nascita della biologia molecolare, salutata da molti come la rivoluzione del secolo: pensiamo alla scoperta degli enzimi di restrizione, all'introduzione della tecnica della Polymerase Chain Reaction (Pcr) o del sistema Crispr/Cas9. Non quindi il rifiuto dei paradigmi precedenti, ma il perfezionamento dell'indagine, la sostituzione di metodiche approssimative con procedure ad alto contenuto tecnologico, permettono analisi e quantificazioni più accurate e affidabili”.
E in futuro? Già oggi, grazie all'intelligenza artificiale, il metodo scientifico può essere automatizzato. Lo dimostra la costruzione nel 2010 di Adam, un robot in grado di progettare e realizzare esperimenti biologici e autore della scoperta di tre geni che codificano per specifici enzimi del lievito: un risultato che gli scienziati non erano riusciti a ottenere.
Fonte: Gilberto Corbellini, Dipartimento di scienze umane e sociali e patrimonio culturale del Cnr, Roma, tel. 06/49932657 , email direttore.dsu@cnr.it - Federico Focher, Istituto di genetica molecolare Luigi Luca Cavalli-Sforza , email focher@igm.cnr.it -