La possibilità di sopravvivenza in ambienti ostili all’uomo, in modo particolare per quanto riguarda un bambino, è messa a repentaglio dalla presenza di numerosi pericoli potenziali, quali l’insorgenza di malattie, l’attacco da parte di animali predatori e condizioni climatiche avverse. “Va detto che i giovani che sono riusciti a sopravvivere in ambienti selvatici per lunghi periodi hanno successivamente mostrato enormi difficoltà di riadattamento alla società umana. Spesso hanno presentato gravi carenze cognitive, linguistiche e sociali, a dimostrazione di quanto sia importante l’interazione umana precoce per lo sviluppo del cervello. È fondamentale chiarire che l’imprinting, una particolare forma di apprendimento, è un fenomeno che si verifica principalmente nelle prime fasi di vita, quando il sistema nervoso è estremamente plastico e recettivo a nuovi stimoli”, prosegue il ricercatore.
Negli adulti, questa funzionalità è drasticamente ridotta, in ragione dei condizionamenti sociali e delle esperienze precedentemente accumulate, rendendo più difficile l'instaurarsi di legami così forti e immediati come quelli che si formano durante l'imprinting infantile. Tuttavia, ciò non significa che un adulto non possa essere influenzato da un'esperienza prolungata in un ambiente animale. “Un adulto potrebbe adottare comportamenti e abitudini tipiche degli animali con i quali convive, quali schemi di movimento, pattern di attività e modalità di comunicazione, ma la sua capacità di razionalizzare e comprendere le proprie azioni lo differenzierà sempre da un animale. Di certo, un’esperienza prolungata potrebbe portare a una diversa percezione del mondo, con una maggiore sensibilità agli stimoli ambientali, ai ritmi naturali e ai cicli stagionali. Un persistente isolamento e la mancanza di interazione sociale con altri esseri umani potrebbero poi avere un impatto significativo sulla psiche dell'adulto, influenzando la sua capacità di relazionarsi con gli altri e di comprendere e razionalizzare le norme sociali”, conclude Mori.