Se nessuno ti cerca, nessuno ti vuole bene
"Chi l'ha visto?" - la celebre trasmissione di Rai 3 dedicata alle persone scomparse, in onda dal 1989 - è diventata un punto di riferimento per chi cerca i propri cari e anche per autorità e forze di polizia. Dal 2004 è condotta da Federica Sciarelli. Le abbiamo chiesto come siano cambiati la società e il programma. “L’italiano che scompare? Soprattutto vittime di femminicidi, disperati, alzheimeriani. Ma i casi che rimangono celebri sono soprattutto quelli di bambini”
Le storie di persone scomparse creano apprensione e allo stesso tempo affascinano per il mistero che le circonda. Emblematiche quelle di Emanuela Orlandi e del fisico Ettore Majorana, dell’economista Federico Caffè e delle piccole Denise Pipitone e Angela Celentano. A loro, tra emergenze e vecchi casi, è dedicata, sin dal 30 aprile 1989, la storica trasmissione di Rai 3 “Chi l’ha visto?”. Dal 2004 è condotta da Federica Sciarelli, che inizia la sua carriera giornalistica nel 1987 al Tg3 nella redazione politica. Il programma lavora a stretto contatto con le forze dell'ordine e, facendo appello al pubblico per ottenere informazioni utili, nel tempo ha contribuito a far luce e a mantenere viva l’attenzione sui casi irrisolti.
Scomparsi e parenti. Quanto è difficile gestire queste situazioni?
I parenti o coloro che sono alla ricerca dei loro cari non sempre desiderano apparire pubblicamente. Spesso siamo noi a chiedere loro di farlo, per rendere gli appelli più efficaci e coinvolgere gli spettatori, insistendo in tal senso. Se lancio un appello per una ragazzina scomparsa va bene, ma se a farlo è una madre disperata, il messaggio risulta molto più potente. Lo spettatore si identifica, pensa: "Potrebbe capitare anche a me" e si sente più coinvolto. Io spiego loro che la presenza aiuta a far comprendere quanto soffrano e conferisce maggiore forza al nostro lavoro. Parlo con loro prima della trasmissione, in una stanza da soli, li aiuto a entrare nel vivo. Nei giorni scorsi è stata protagonista del ritrovamento di un giovane adolescente scomparso nella spiaggia dove si trovava in vacanza. Lo ha riconosciuto e lo ha fermato tranquillizzandolo fino all’arrivo delle forze dell’ordine e dei genitori.
Ci sono stati dei casi in cui l’insistenza televisiva è stata utile per le indagini?
Quando i nostri inviati si recano sul luogo della scomparsa, esortano i parenti o chi cerca gli scomparsi, a parlare e a fare appelli. Capita però che parlino “troppo”. Per questo è importante leggere le denunce di scomparsa, perché da lì emergono molti particolari. Un esempio è quello di Roberta Ragusa, per la quale il marito parlava di un incidente domestico, che era caduta dalle scale. Ci sorsero subito dei dubbi e ai nostri inviati dissi: fatelo parlare, fategli domande su domande. Lui ha iniziato a rispondere, ma a un certo punto è caduto in contraddizione su un particolare contestato anche a processo. Quando ha capito l’errore, ha chiuso la porta di casa e non ha parlato più. Un altro esempio è quello di Isabella Noventa: l’ex compagno disse che l'aveva accompagnata al centro di Padova, pensando in questo modo di crearsi un alibi, poi si scoprì che era tutta una messa in scena.
Com’è cambiato nel tempo “Chi l’ha visto?”?
Quando è iniziata la mia conduzione, c'erano solo le reti generaliste. Adesso l’offerta informativa è completamente diversa ed è cambiata la tecnologia. Oggi, i casi della scomparsa di Ettore Majorana e di Federico Caffè sarebbero trattati in modo diverso. Di Majorana si disse che aveva preso il traghetto ma nessuno lo vide scendere, ora ci sono telecamere e cellulari. Le persone vengono trovate più facilmente, alcuni casi non arrivano neanche alla seconda puntata, li risolviamo direttamente con il passaparola sui social. Inoltre, è cambiata la sensibilità, grazie anche a “Chi l'ha visto?”.
Perché solo alcuni casi restano nella memoria, tipo Angela Celentano, Denise Pipitone o Emanuela Orlandi?
Intanto, gli esempi che ha citato sono tutti di minori. Sono i casi che rimangono più impressi perché molti genitori pensano “potrebbe capitare a me”, e soprattutto sono irrisolti. Quando arrivai a “Chi l’ha visto?” chiesi di tornare sul caso Orlandi. Gli autori e la redazione, giustamente, obiettarono che non c’era niente di nuovo, ma risposi che dopo tanti anni qualcuno si sarebbe potuto mettere una mano sulla coscienza e arrivò la famosa telefonata, “Andate nella basilica di Sant’Apollinare”, che scatenò un putiferio. Spesso riapriamo dei casi perché contattati dai parenti degli scomparsi che non si danno pace che il loro caro sia finito in un “buco nero”.
Di quali risultati è più orgogliosa?
I casi sono tantissimi. Mi piace citare Ilaria Alpi, per il quale avevamo trovato un nuovo testimone. Spesso ce ne danno atto anche le Procure, tante volte a processo vengono utilizzate le nostre interviste.
Apparentemente, i casi di scomparsa volontaria sono pochi. È così?
È difficile stabilire a priori se una persona scompaia volontariamente. Spesso si scopre solo dopo averla trovata. Quando abbiamo dubbi di questo tipo, ovviamente non lo diciamo per una questione di privacy e utilizziamo la formula che chiamo “appelli di cuore”, invitando i familiari a dire “rispetto le tue scelte, ma fammi sapere che stai bene”. In base alla mia esperienza i casi di scomparsa volontaria sono davvero pochi anche perché una persona, se sparisce volontariamente, chiede di essere lasciato libero. Le situazioni più brutte sono quelle in cui i parenti trovano biglietti con frasi di addio, tipo “non ce la faccio più”. Allora io spiego agli spettatori che lo scomparso si trova in un periodo di grandissima fragilità. Una battuta che mi facevano spesso per strada, soprattutto agli inizi, era: “se sparisco non cercatemi”. Io rispondo sempre che se nessuno ti cerca, significa che nessuno ti vuole bene.
Un caso, magari meno celebre, che l’ha più colpita emotivamente?
Quando riusciamo a trovare una persona proviamo sempre una grande gioia. Mi viene in mente una signora di Roma che cercava sua madre affetta da Alzheimer, che si era allontanata in pelliccia nonostante fosse giugno. La rassicurai dicendole che sarebbe stato facile individuare una donna impellicciata, e così fu. Quella volta, spente le telecamere, la figlia mi abbracciò e quel gesto mi fece pensare: “Sto facendo qualcosa di utile”.
Chi è l’italiano che scompare? Il disagiato, la persona con problemi mentali?
“Chi l'ha visto?” è un osservatorio della società, basandoci sulla nostra esperienza possiamo dire che, purtroppo, molte donne vengono “fatte scomparire” da mariti, ex compagni o partner. In periodi di crisi economica, invece, si sono verificati numerosi casi di uomini che, perso il lavoro, incapaci di fare fronte alle difficoltà familiari, si sono sentiti inutili e, presi dalla disperazione, hanno deciso di togliersi la vita. Poi c’è il caso delle persone anziane, spesso affette da demenza senile o Alzheimer, che non riescono a trovare la strada di casa. Disorientati, possono percorrere anche lunghe distanze a piedi, perciò è importante dare inizio tempestivamente alle ricerche. Abbiamo lottato affinché non fosse più necessario attendere 48 ore per denunciare una scomparsa.
Come lavorate quando il programma non va in onda?
Abbiamo strutturato la redazione come una sorta di pronto soccorso, organizzando dei turni e assicurando la presenza di qualcuno che si occupa del servizio: se una persona scompare a luglio, non possiamo aspettare settembre per avviare le ricerche. In questo senso ci aiutano i nostri canali social e il sito. Inoltre, il centralino 06 8262 è sempre attivo e dotato di una segreteria telefonica. La nostra procedura è molto dettagliata: chiediamo a chi denuncia il maggior numero di particolari. È di vitale importanza e ci ha consentito di costruire un archivio unico, che è un punto di riferimento anche per le autorità investigative.
La tv di servizio nell’epoca dei social. La guardano ormai soprattutto anziani, i giovani usano altre piattaforme. Come vi adattate a questo cambiamento?
Quando diventerò nonna, mio figlio aprirà un armadio dove dentro ci sarà un televisore e dirà ai figli “guardate da dove trasmetteva nonna”. Ma i dati non sono così negativi, da quando ho iniziato nel 2004 l’età media degli spettatori si è abbassata e facciamo le stesse percentuali di allora, grazie al fatto che abbiamo cercato di rinnovarci. Adesso ci appoggiamo molto ai social, ai quali io sto attentissima, anche se non ho profili personali. Del resto, il nostro programma è fatto con gli spettatori e capita che, quando dico che la persona scomparsa aveva un computer oppure fornisco particolari legati alla tecnologia, la nonna chieda chiarimenti al nipote, poi ci chiami dicendo “mio nipote mi ha spiegato che...”. Per questo alla fine sono coinvolti anche i più giovani.
Non le manca il giornalismo attivo?
La mattina ascolto sempre la rassegna stampa, dedico molta attenzione a tutti i temi politici e non lo nego, sì, mi manca, io vengo da lì. Però condurre “Chi l’ha visto?” mi dà l'idea di essere più utile. Ogni volta che si dice che potrei lasciare, i familiari degli scomparsi mi implorano di non farlo, “tu ci dai forza”, ma ammettono che se me ne andassi capirebbero, perché è dura parlare sempre di disgrazie.