Focus: Svanire

La chimica della decomposizione

Koli-bacteria
di Alessia Famengo

L’interazione fra composti organici e ambiente circostante è continua e prosegue, anche quando cessano i meccanismi biochimici della vita, attraverso una complessa sequenza di processi. Alessia Famengo, dell’Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia, ci offre uno sguardo su un settore di studio forse macabro ma fondamentale, in ambito forense e nella scienza degli alimenti

Pubblicato il

Scrive H. G. Wells nel finale del romanzo “La guerra dei mondi”: “…Non soccombiamo a nessun germe senza una lotta, e da molti - quelli della putrefazione di tutto ciò che è morto, per esempio - il nostro organismo è immune. Su Marte non ci sono batteri, e quando questi invasori arrivarono e incominciarono a nutrirsi, i nostri microscopici alleati cominciarono a lavorare alla loro distruzione".

Biologo oltre che scrittore di fantascienza, Wells pone fine all’invasione dei marziani schierandogli contro batteri coinvolti nella decomposizione della materia organica, processo che si instaura dopo che l’invasore ha ucciso tutte le forme di vita terrene: gli alieni de “La guerra dei mondi”, iniziano così a indebolirsi e a morire proprio perché i microorganismi terreni che proliferano sui resti sono per loro altamente patogeni. Dopo la morte di un organismo, infatti, si instaurano una serie di processi fisici e chimici che convertono sistemi biologici complessi in molecole organiche e inorganiche via via più “semplici”.

“La morte degli atomi, a differenza della nostra, non è mai irrevocabile”, scriveva Primo Levi nel racconto “Viaggio di un atomo di carbonio” contenuto ne “Il sistema periodico”. La materia organica negli organismi viventi è organizzata in tessuti e organi e continua a evolversi e riarrangiarsi anche quando cessa la vita. A pochi minuti dalla morte, viene a mancare l’ossigeno dalla respirazione e si ferma la fosforilazione ossidativa, la reazione metabolica che produce ATP, la molecola che fornisce energia alle cellule e le rende dunque “vitali”. L’organismo cerca di compensare ricorrendo ad altre vie meno efficienti, che comportano un accumulo di composti acidi. L’aumentata acidità delle cellule innesca i cosiddetti processi di autolisi: gli enzimi racchiusi negli organelli delle cellule si attivano e iniziano a demolire le cellule degradando proteine, polisaccaridi, lipidi e altri costituenti cellulari, liberando un liquido ricco di sostanze nutrienti e acqua.

Bistecca

E' la via della putrefazione: le molecole derivate e il pH acido sono un terreno fertile per batteri, funghi e protozoi. Il corpo umano, è popolato da un numero di batteri dieci volte superiore al numero totale delle cellule che lo costituiscono, presenti principalmente nel tratto gastro-intestinale ma anche negli altri organi, come riportato in “The NIH Human Microbiome Project” pubblicato su “Genome Research”. Dal momento che il sistema immunitario non è più attivo, i batteri sono liberi di proliferare nutrendosi delle sostanze prodotte durante l’autolisi cellulare. I processi di fermentazione anaerobica mediati dai batteri producono gas come solfuro di idrogeno (H₂S), anidride carbonica (CO2) metano, biossido di zolfo (SO₂), ammoniaca e idrogeno. Altri sottoprodotti sono gli acidi grassi volatili, principalmente il butirrico e il propionico, composti fenolici, glicerolo derivanti dalla degradazione progressiva delle proteine e dei grassi.

Tra gli oltre quattrocento composti volatili che si formano durante la putrefazione, la putrescina e la cadaverina sono spesso menzionate nei manuali di chimica organica come esempi di ammine maleodoranti, dall’odore sgradevole di carne marcia e spazzatura. Lo scatolo e l’indolo odorano di feci, muffa e stantio ma, curiosamente, a bassissime concentrazioni vengono percepite come un aroma fiorito e per questo usate nella composizione di fragranze e profumi. Cadaverina, putrescina indolo e scatolo appartengono alla classe delle ammine biogene e derivano dagli aminoacidi, i costituenti primari delle proteine. Si chiamano così perché presentano una certa attività biologica una volta ingerite e vengono sintetizzate anche in vivo da tutti gli organismi viventi, anche se non è ancora ben chiaro il loro ruolo.

Le ammine biogene sono ampiamente investigate nella chimica degli alimenti per quanto riguarda gli aspetti tossicologici. Si trovano nelle carni, nel pesce, nei formaggi, in alimenti fermentati (vino compreso) ma anche in cibi di origine vegetale altamente proteici. La loro concentrazione è tanto più elevata nei cibi degradati o in fase di putrefazione e possono provocare allergie, problemi dermatologici, intestinali, mal di testa, etc. Fattori come le condizioni igieniche di produzione e conservazione, il tipo e la quantità di carica batterica presente, il pH della matrice e la temperatura influenzano la quantità finale di ammine biogene.

Le reazioni di decomposizione della materia organica non sono solo importanti per la sicurezza degli alimenti ma sono parte del ciclo del carbonio nella biosfera, attivando lo scambio di energia e nutrienti nella catena alimentare, ridistribuendoli fra i diversi ecosistemi in equilibrio e regolando il rilascio di anidride carbonica verso l’atmosfera o l’idrosfera.

Fonte: Alessia Famengo, Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia, alessia.famengo@cnr.it

Tematiche
Argomenti