La possibilità di errore rende la conoscenza sospetta, quando crediamo di sapere scopriamo spesso che non è così. Lo scetticismo almeno in teoria dovrebbe però aiutarci, sollevando, affrontando e risolvendo gli argomenti di perplessità. “Il dubbio dei moderni” (Carocci) di Gianni Paganini si concentra su questo dilemma mediante lo spettro autorale e storico che va grosso modo da Montaigne a Hume, in quella che l’autore definisce come golden age dello scetticismo e che ha coinvolto persino un razionalista come Descartes e un empirista come Hume, portando al culmine forme di dubbio antiche e producendone di nuove.
Ma lo scetticismo ha una storia quasi bimillenaria, affondando le sue radici nel mondo greco e romano, che rimanda ad autori quali Pirrone di Elide, sostenitore dell’aphasia (assenza di pronunciamento) sul piano teorico e dell’ataraxia (imperturbabilità) su quello pratico, di Agrippa ed Enesidemo che affermarono invece l’epokhè o sospensione del giudizio. E poi il “criterio” come mero orientamento per la prassi della vita ordinaria e non strumento di discernimento, secondo la distinzione di Sesto Empirico, e la diffidenza verso il mondo sensibile di Cicerone.
Lo scetticismo già nelle sue formulazioni originarie aveva una funzione eminentemente pratica, morale e individuava nei dogmi una fonte di turbamento, contrariamente al pensiero che faceva dipendere la morale proprio dalla conoscenza positiva del bene. Connotazione che in età moderna impone il confronto con una religione “dogmatica” come il cristianesimo, ben diverso dalle filosofie classiche e anche dalle loro visioni civili, mitologiche o tradizionali.
La conclusione dello scettico non può che essere la sospensione del giudizio, poiché la conoscenza non viene considerata validata in modo razionale, perché non c’è alcuna facoltà che la colga direttamente, che superi il “salto” tra rappresentazioni e oggetti. “L’inferenza dei dati agli oggetti reali non è giustificata né induttivamente né deduttivamente”, scrive l’autore, e “lo scetticismo non nega dunque le rappresentazioni ma il valore doxico”, cioè di credenza “vera”, che noi attribuiamo loro. I principali tentativi in età moderna di assicurare alla conoscenza un fondamento sicuro sono il giustificazionismo “interno” o “internalista” di Descartes (la conoscenza vera è interna alla mente e alle idee) e il “trascendentalismo” di Kant (l’a priori rende possibile la certezza). Giungono poi la risposta “psicologistica” di J. B. Vries nel 1801, la fenomenologia di Edmund Husserl, il logicismo di Bertrand Russell, fino al “razionalismo critico” di Karl Popper, per il quale è impossibile verificare in modo definitivo le asserzioni universali sulla realtà.
Popper sostituisce il paradigma della verificazione con la falsificazione, l’approssimazione, il “superamento di una teoria mediante una teoria migliore”, l’idea centrale della scepsi (la critica continua) che sfugge alla paralizzante sospensione del giudizio così come alla fondazione assoluta e definitiva della teoria. Un ottimismo epistemologico evidente secondo cui potrà sempre sopraggiungere un nuovo dato empirico che invaliderà la comprensione pregressa, senza che questo debba paralizzarci.
Titolo: Il dubbio dei moderni
Categoria: Saggi
Autore: Gianni Paganini
Editore: Carocci
Pagine: 150
Prezzo: 25,00