Com'è vera Venezia
Licia Maglietta inizia a recitare a teatro molto giovane, mentre si laurea in architettura: una formazione che sfrutta anche nella sua professione di artista. A renderla nota al grande pubblico è soprattutto il film “Pane e tulipani”, diretto da Silvio Soldini, con cui ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Tra i suoi interessi ci sono anche la fisica e la chimica
Licia Maglietta nasce a Napoli. Già prima della laurea in architettura segue seminari di teatro con maestri internazionali, è fondatrice del gruppo Falso Movimento poi Teatri Uniti e va in tournée in tutto il mondo con spettacoli di Mario Martone. Dagli anni Novanta, affianca al teatro il lavoro in campo cinematografico, interpretando tra l’altro “Morte di un matematico napoletano” (1992) e “L'amore molesto” (1995) di Martone, con cui vince il Sacher d’oro come migliore attrice non protagonista. Con “Pane e tulipani” di Silvio Soldini, David di Donatello 2001 come miglior protagonista, due Nastri d’Argento, due Globi d’oro e numerosi premi internazionali. A teatro, mette in scena molti spettacoli di cui firma regia, scene e drammaturgia. Nel 2004 il Presidente della Repubblica Ciampi le conferisce il titolo di Cavaliere della Repubblica per meriti artistici. In tv interpreta per Sky cinema, “In Treatment” di Saverio Costanzo, per la Rai “Tutto può succedere”. Protagonista e co-sceneggiatrice de “La prima donna”, documentario sulla cantante lirica Emma Carelli, vince un altro Nastro d’Argento.
Dalla laurea in architettura cosa l’ha portata a dedicarsi alla recitazione?
In realtà è sempre stato un mio interesse da quando frequentavo il liceo andavo un paio di volte alla settimana a teatro, ma anche al cinema, ma ho continuato il percorso di studi. Poi all'università ho iniziato a frequentare un gruppo di teatro seguito da alcuni miei amici e pian piano mi sono appassionata. Poi, insieme a Mario Martone, Andrea Renzi, Tomas (Tommaso) Arana ho iniziato a fare tournée, ma mi sono anche laureata. Comunque, gli studi sono stati fondamentali e mi hanno permesso di essere anche scenografa della compagnia, e di svolgere lavori di progettazione. Insomma, lo studio dello spazio si è rivelato importante sia per l’attività a teatro, ma anche, per la mia professione di attrice.
Tra le opere teatrali che ha interpretato c’è “Delirio amoroso”, monologo che si ispira alla vita di Alda Merini, nel quale lei ricorda l’esperienza del manicomio vissuta dalla poetessa.
Quando ho conosciuto Alda Merini non era ancora un personaggio noto, ho voluto chiederle se potessi andare in scena con una sua opera. Ho scelto di rappresentare la poesia della Merini, non per le sue esperienze nei manicomi, ma perché la reputo una grande poetessa. Certo, i suoi trascorsi biografici tragici trapelavano dalle composizioni, ma quello che mi attrae è il suo straordinario sguardo sul mondo e sulle persone.
Nella serie tv “In Treatment” interpreta il ruolo di supervisor di uno psicanalista. Cosa pensa delle problematiche psicologiche che, forse anche a causa della pandemia, sembrano essersi molto diffuse?
Non ho le competenze per rispondere. Quello che posso dire è che la pandemia ha sicuramente causato o amplificato difficoltà ma la solitudine e l’isolamento che ha provocato sono stati un momento importante, significativo della vita per chi era in grado di elaborarli.
In “Tutto può succedere” interpreta Anna, che insieme al marito Ettore (Giorgio Colangeli), è un punto di riferimento, una sorta di matriarca per i quattro figli. Nella sua vita reale, la famiglia che ruolo svolge?
Non amo parlare della mia vita privata, ma posso dirle che anche per me la famiglia è un punto di riferimento importante, una prospettiva dalla quale elaboro il mio sguardo sulla vita. Farlo con i figli piccoli, ti permette un’elaborazione enorme della tua infanzia, poi della tua adolescenza e, quindi, del tuo divenire madre. E consente anche di ripensare al rapporto con i propri genitori. In seguito, confrontarsi con i figli che a loro volta divengono adulti, avere con loro un dialogo alla pari, è estremamente importante.
Una scena del film Pane e tulipani
In “Pane e tulipani”, interpreta Rosalba, che a seguito di un episodio fortuito decide di cambiare la propria vita, fino ad allora sottomessa al marito e al servizio della famiglia. Cosa pensa della parità di genere?
Quando la protagonista viene dimenticata in un autogrill non pensa subito di rivoluzionare la propria vita, quello che ipotizza è di trascorrere due giorni a Venezia, dove non è mai stata, e tornare a casa. Ma si trova poi a vivere situazioni che non aveva mai sperimentato e che la portano a cambiare i suoi piani. Per quanto riguarda la situazione della donna, ritengo che siamo ancora all’età delle caverne, si dice che la parità di genere sia stata raggiunta, ma le donne faticano ancora molto per ottenere risultati pari a quelli degli uomini. C’è ancora tanto da fare, in tutti i campi: per esempio, nel mio settore, le donne guadagnano ancora meno degli uomini. Dalle mie figlie ho potuto constatare che i problemi persistono anche per le donne giovani, alle quali, ad esempio, quando fanno un colloquio di lavoro, viene chiesto se sono sposate, se hanno figli e se vogliono averne. Quello che noto è che le ragazze non se ne meravigliano, come se fosse normale. Le lotte degli anni ’60 non sono proseguite, c’è stato un ritorno a situazioni precedenti. Basta valutare i numeri, ad esempio in ambito cinematografico, dove solo nel 10-15% dei film le donne sono protagoniste, la storia poi è sempre narrata dal punto di vista degli uomini, che sono eroi o lo diventano nel corso della storia. Le protagoniste femminili invece sono difficilmente eroine, soccombono quasi sempre, malgrado ad andare al cinema e a teatro sia soprattutto un pubblico femminile.
Il film mostra la Venezia di chi ci vive, che però è a rischio spopolamento. Lei come ci si è trovata? Ha altre città del cuore?
Quando si gira un film in realtà si ha poco tempo per visitare i luoghi in cui è il set, ma io già conoscevo bene Venezia perché ho vissuto qualche anno a Padova e molti anni a Udine. È una città che ogni volta che la si visita stupisce, è un luogo unico, meraviglioso. Ma sono tanti i posti dove mi è capitato di andare per lavoro ai quali sono legata: Reggio Emilia, Milano, Napoli, Roma, Palermo, Catania: ognuna mi è rimasta dentro. Ma sono legata anche ad Arezzo, a Livorno, alle località della Puglia.
Nel film lavorava anche Bruno Ganz, nei panni di Fernando, del quale Rosalba si innamora. Che ricordo ha di questo attore, scomparso qualche anno fa?
È il più grande attore con il quale abbia mai lavorato, per me è stato un onore lavorare con lui. Poi siamo diventati amici, quindi il rapporto è proseguito nel tempo, fino alla sua scomparsa. Era una bella persona e un attore molto bravo ma estremamente umile, sia professionalmente che umanamente.
Di donne si è parlato anche nel reading che si è svolto al Cnr lo scorso 13 aprile, partendo dalla lettura dell’opera di Virginia Woolf “Una stanza tutta per sé”. Un tema al quale lei dedica molta attenzione.
Mi ha fatto molto piacere partecipare a questo evento, perché quello della parità femminile è un tema che mi sta molto a cuore. Ho recitato in molte opere che affrontano questo argomento, uso la mia professione per parlarne, lo faccio da anni.
Ha lavorato anche in “Morte di un matematico napoletano”, sulla vita di Renato Caccioppoli. Qual è il suo rapporto con questa disciplina e con le materie scientifiche in generale?
Nutro molto interesse per le materie scientifiche, a volte mi chiedo perché ho fatto l’attrice, forse avrei potuto anche dedicarmi alla scienza. Sono appassionata dei libri del fisico Carlo Rovelli dedicati all’universo, li leggo tutti e con lui ho anche fatto un evento al Festival della letteratura di Mantova. Non a caso mi sono laureata in architettura e l’ho fatto all’Università di Napoli, un ateneo dal quale scappavano tutti proprio per la particolare difficoltà degli esami di matematica e di scienza delle costruzioni. Mi interessano comunque anche altre discipline scientifiche, delle quali vorrei capire di più, innanzitutto la fisica e la chimica.
Quali progetti ha per il futuro?
In questo periodo sto portando in scena l’opera di Alan Bennet “Un letto tra le lenticchie”, quindi vado in scena con un melologo. È uno spettacolo in musica, tratto dal libro “Liquidi” di mio fratello Massimo Maglietta. Devo inoltre continuare la tournée di un altro melologo “Babar”, finora messo in scena con l’Orchestra filarmonica di Milano, ma che riprenderà la tournée a settembre con la Filarmonica di Padova.