Focus: Corpo

Un nuovo modello tra reale e virtuale

Corpo sociale
di Marina Landolfi

L’annullamento delle distanze e l’aumento della velocità e dei dati a disposizione caratterizzano la contemporaneità. La solidità dei concetti tradizionali ha lasciato il posto a una società in trasformazione, labile, la cui precarietà coinvolge ogni aspetto della vita pubblica, dai rapporti di lavoro ai legami personali, mettendo in discussione anche l’individuo, i suoi sentimenti e i suoi desideri. Ne abbiamo parlato con Daniele Demarco, ricercatore dell’Istituto di studi sul Mediterraneo del Cnr

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Oggi, in quella che il sociologo Zygmunt Bauman ha definito modernità liquida, il paradigma del cambiamento sembra assurgere a costante universale. Tutto si evolve velocemente, gettandoci in una condizione priva di riferimenti fissi. Una certa assenza di coesione si riverbera tanto nei legami personali quanto nei rapporti di lavoro, e questo non può che mettere in discussione l’individuo, i suoi sentimenti, le sue relazioni. E, con l’individuo, l’intera società.  “Secondo l’Istat, negli ultimi 20 anni, in Italia, il numero di famiglie è aumentato sino  a 25.6 milioni. Il numero medio dei loro componenti è diminuito, però, da 2.6 a 2.3. Nei prossimi decenni questo trend aumenterà fino ad avere 26.2 milioni di famiglie con una media di componenti da 2.3 a 2.1”, spiega Daniele Demarco, dell’Istituto di studi sul Mediterraneo (Ismed) del Cnr. “Una progressiva frammentazione del corpo sociale che si riflette anche sul fronte del lavoro: quello dipendente a tempo indeterminato è, infatti, in forte diminuzione e riguarda solo 6 occupati su 10. Cresce, invece, il lavoro dipendente a tempo determinato, con inevitabili ripercussioni sia sulla qualità dell’occupazione sia sui livelli retributivi”. 

Un tempo c'erano grandi aggregazioni di classe, cultura, lavoro, oggi non più. Sono cambiati i sistemi di produzione e, con le dismissioni delle grandi fabbriche e la crisi delle ideologie politiche del Novecento, le società si sono riscoperte meno radicate nell’alveo di raggruppamenti tradizionali. E ciò in un mondo tutt’ora attraversato da una profonda rivoluzione tecnologica.

“Questa rivoluzione incide sia sul nostro modo di vivere nel mondo sia sul nostro modo di interpretarlo”, evidenzia il ricercatore. “Non dimentichiamo, poi, che rivoluzione tecnologica significa anche nuovi strumenti per produrre e manipolare l’informazione e, con essa, le narrazioni, che risultano spesso inconciliabili tra loro. Si pensi che, oggi, ogni giorno, il mondo produce e consuma più di tre quintilioni di byte informativi. E un quintilione equivale a un miliardo di miliardi. Un frastuono: tutti a raccontare le proprie narrazioni e a contestare quelle degli altri in una sorta di ‘bellicismo comunicativo’ che, disgregando vecchi raggruppamenti sociali, pone ogni individuo contro l’altro”.

È solo uno dei tanti aspetti di una globalizzazione sempre più intrecciata con l’informatizzazione.  Il nuovo spazio disegnato dalla globalizzazione si presenta più poroso, fluttuante, mobilitato da molte energie concorrenti: flussi di migranti, lavoratori, e turisti dove manca un centro per orientarsi. “I luoghi che in passato hanno aggregato gli individui all’interno di compagini e ‘corpi sociali’ come la Chiesa, la piazza, le sedi dei partiti politici appaiono sempre più impossibilitati a costituirsi come sfera pubblica. E ciò ha effetti molto rilevanti sulla definizione delle identità” chiarisce Demarco. “È puramente indicativo che oggi in Italia il 54% si consideri tifoso di calcio. Cioè, come annota il sociologo Ilvo Diamanti, ‘coinvolto dalla passione per una squadra’. Ciò vuol dire che il calcio diviene sempre più strumento per far corpo. Esso fornisce una bandiera, dei motivi per attuare una qualche forma di riaggregazione in tempi nei quali è difficile trovarne altrove, ad esempio nella religione, nella politica e nei partiti. In passato l’esistenza di un sfera pubblica localizzabile ha corroborato la dialettica tra i gruppi sociali. Così frequentare la piazza, o un luogo di lavoro significava agire su sé stessi, interagendo con il prossimo, formarsi un carattere esponendosi all’impatto di un corpo a corpo fisico (oltre che psichico) con l’altro. Al contempo la distinzione tra pubblico e privato ha costituito il paradigma della vita metropolitana: un luogo per raggruppare chi lavora, produce e compete, un diverso luogo per raggruppare chi condivide affetti e legami di natura familiare”.

Società liquida

Attualmente, queste nette distinzioni appaiono rivoluzionate dall’uso di dispositivi telematici, tecnologie che pervadono tutti i luoghi dello spazio aprendo, in essi, varchi verso una dimensione omologante, in cui consumare simultaneamente tutte le esperienze che scandiscono la quotidianità̀ della vita: dall’apprendimento, alla fruizione di intrattenimenti, alla comunicazione, al lavoro. “Entrare all’interno di questa dimensione parallela significa avvertire un afflusso di potenza. Il tempo si presenta accelerato. Le distanze appaiono ridotte. Tutti i ‘processi orientati verso un fine’ sembrano procedere più̀ fluidi nella loro attuazione. A questa agilità̀ procedurale corrisponde, però, una diminuzione della percettività̀. La dialettica sociale mediata dalle tecnologie non coinvolge, infatti, tutti e cinque i sensi, ma solo quelli ‘alti’: la vista e l’udito. Ciò che manca è proprio il contatto fisico, la percezione della densità̀ e della corporeità. Proliferano le comunità virtuali. Comunità̀ che, destrutturando i rapporti di vicinato e l’unità spazio-temporale della coesistenza fisica, mettono in crisi la nostra stessa percezione di categorie imprescindibili quali quelle di realtà, identità, soggetto, oggetto e, con esse, la possibilità, sia per i singoli individui sia per corpi sociali, di autodefinirsi” conclude l’esperto. 

Sullo sfondo di simili fenomeni si stagliano le inquietudini dell’uomo contemporaneo che avverte l’alienante percezione di una perdita di contatto con il corpo del mondo, con il “corpo sociale” e, per certi versi, anche col suo stesso corpo, ormai sempre più connesso a protesi che, se per un verso amplificano la sua operatività ed estendono il suo raggio d’azione nello spazio, per un altro lo desensibilizzano e ce lo fanno apparire come un ibrido corpo-macchina.

Fonte: Daniele Demarco, Istituto di studi sul Mediterraneo, daniele.demarco@ismed.cnr.it