Antonio Catania: attore per caso
Dopo aver partecipato per gioco al test di ammissione al Piccolo di Milano, dove si diploma, inizia a lavorare in teatro con Salvatores, che lo porta con sé anche quando passa al grande schermo. Attore poliedrico, ha interpretato ruoli differenti lavorando con registi importanti: da Mazzacurati a Scola, da Reali a Soldini
Originario di Acireale (Ct), Antonio Catania si è diplomato alla Scuola d'arte drammatica del Piccolo teatro di Milano. Ha iniziato la carriera di attore a teatro, passando poi al cinema e alla tv. Tra i registi che lo hanno diretto sul grande schermo, Gabriele Salvatores, Leone Pompucci, Carlo Mazzacurati, Stefano Reali, Ettore Scola, Silvio Soldini. La sua più recente interpretazione cinematografica è quella di Achille Franzi, protagonista de 'Il pasticcere’, convinto che la sua missione sia "portare la dolcezza nella vita degli altri". In televisione ha lavorato in numerose fiction, tra le quali 'Il giudice Mastrangelo’, 'Boris’, 'Ho sposato uno sbirro’. L’anno prossimo tornerà a teatro con la commedia 'Il prestito’, dello spagnolo Jordi Galceran.
Dopo il liceo ha iniziato a studiare filosofia all’Università di Milano, come è passato a frequentare la Scuola del Piccolo?
In verità quando ho partecipato alla selezione per entrare alla scuola d’Arte drammatica del Piccolo frequentavo la facoltà di Medicina: l’ho fatto quasi per gioco, con un amico, senza crederci molto, anche perché sono sempre stato molto timido. Studiando medicina, però, avevo avuto modo di informarmi sullo psicodramma. È un metodo psicoterapeutico ideato da Jacob Levi Moreno che, sotto la guida di uno specialista, attraverso il gioco drammatico delle improvvisazioni sceniche, mira a sviluppare la spontaneità in soggetti affetti da problemi psicologici. Queste nozioni mi hanno sicuramente aiutato a superare l’esame, e le mie esibizioni sono state apprezzate. Riuscire a recitare e cantare di fronte a un pubblico che mi applaudiva è stato terapeutico, così ho deciso di dedicarmi allo studio della recitazione. Decisi allora di passare alla facoltà di Filosofia dove ho sostenuto anche alcuni esami di psicologia, una materia che continuava ad affascinarmi.
E in Filosofia si è laureato?
No, perché al saggio di canto dell’Accademia venne Gabriele Salvatores, in cerca di attori giovani per una sua nuova compagnia teatrale, e mi chiese di entrarne a far parte. Iniziai così la carriera di attore a tempo pieno. Ho lavorato con Gabriele sul palcoscenico per circa 10 anni, poi, quando è passato al cinema, mi ha coinvolto nella sua nuova avventura.
Spesso ricopre ruoli da caratterista, si sente a suo agio in queste parti?
Non molto in verità. È una dipendenza che nasce quando ho interpretato il ruolo di Carmelo La Rosa in 'Mediterraneo’, il film che è valso l’Oscar a Salvatores. Carmelo è un aviatore cialtrone, sbruffone, un po’ sopra le righe: un personaggio che mi è rimasto incollato addosso. Anche questo, come molti dei fatti legati alla mia carriera, si è verificato per caso.
Come si trova nei ruoli comici? Ha lavorato anche con Aldo, Giovanni e Giacomo
Con loro ho girato un paio di film, ma ho interpretato parti comiche anche in altre opere. In questi casi mantengo le distanze dal ruolo, conservo un approccio attoriale, perché non ho caratteristiche personali o una fisicità 'naturalmente comica’. Quindi ogni volta devo costruire il personaggio stando attento a non farne una macchietta.
Ha lavorato in pellicole di tutti i generi, dal noir alla commedia, ai testi d’autore, quale il suo preferito?
I ruoli che preferisco sono quelli legati alla commedia, perché sono più divertenti, più leggeri. Le parti drammatiche inevitabilmente influiscono sull’umore, sullo stato d’animo: ci si immedesima nel personaggio, ci si cala nell’atmosfera cupa, torva. Però quando parlo di commedia non mi riferisco ai 'cinepanettoni’, ma a quella forma legata alle nostre tradizioni più nobili, la classica commedia all'italiana, che tratta anche i risvolti amari della vicenda con toni ironici, umoristici. Un esempio recente potrebbe essere 'Smetto quando voglio’ di Sydney Sibilia.
Ha iniziato con il teatro, al quale è rimasto legato
Sì, anche per interrompere la routine delle fiction televisive, che non mi danno le stesse soddisfazioni del grande schermo. Per vivere un’esperienza diversa torno allora al teatro, che consente il contatto diretto con il pubblico. Di solito porto in scena uno spettacolo per due stagioni e poi faccio una pausa, prima di cimentarmi in una nuova pièce. Dopo l’interruzione di quest’anno, nel 2015 sarò in tournée con 'Il prestito’, versione italiana di Pino Tierno di una commedia di Jordi Galceran, un autore contemporaneo.
Le piacerebbe interpretare uno scienziato?
Al cinema mi affascinano i perdenti, quindi mi piacerebbe vestire i panni di un personaggio quasi dimenticato e proprio per questo affascinante: Giovanni Rappazzo, il messinese che ha inventato il sonoro, rivoluzionando la cinematografia mondiale, ma che per mancanza di finanziamenti non riuscì a brevettare la sua scoperta, ripresa e sfruttata dagli americani. Come accadde con l'americano Bell ad Antonio Meucci, ideatore del telefono. Provo molta ammirazione per gli scienziati, specie per quanti lavorano nel settore medico e dedicano l’esistenza alla ricerca, riuscendo con le loro scoperte a cambiare la nostra vita.