Il gusto mezzo
Questo senso, che ci guida nelle scelte a tavola, può essere “educato” sin dalla fase dell’allattamento in modo che ci aiuti a scegliere cibi gradevoli ma anche sani. A parlarcene è Concetta Montagnese dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Cnr
Mangiare è un bisogno naturale legato alla sopravvivenza di ogni specie animale, ma nell’essere umano alla necessità di nutrirsi per sopravvivere con l’evoluzione si è affiancato il piacere della capacità di apprezzare i diversi sapori e caratteristiche dei vari cibi, cucinandoli e mescolando ingredienti differenti per valorizzarne il sapore. Il gusto, che guida le scelte alimentari compiute dagli individui, è il risultato di fattori genetici, ma anche di condizionamenti sociali e culturali, di esperienze personali e dello stile di vita. I primi gusti a essere descritti sono stati il dolce, l’amaro, il salato e l’acido, ai quali si è poi aggiunto l’umami, tipico di alcuni amminoacidi tra i quali il glutammato monosodico, dal sapore simile al dado da brodo. Negli ultimi decenni, poi, alcuni studi hanno incluso anche il gusto del grasso, ossia degli acidi grassi presenti nell’alimento, tra quelli fondamentali.
“Si ritiene che la capacità di percepire i gusti fondamentali si sia evoluta per aumentare le possibilità di sopravvivenza e di adattamento della specie. La preferenza innata per i gusti dolce e grasso sembra essere legata alla necessità di assumere calorie per mantenere le riserve energetiche del corpo”, spiega Concetta Montagnesi dell’Istituto di scienze dell’alimentazione (Isa) del Cnr. “Il gradimento per l'umami si ritiene invece che si sia evoluto come mezzo per rilevare la presenza di proteine e amminoacidi essenziali; la preferenza per il gusto salato è poi necessaria per assumere il sodio e regolare quindi il livello dei fluidi corporei; mentre l’avversione per l’amaro e l’acido sono probabilmente spiegati da una strategia di sopravvivenza, dal momento che sono associati rispettivamente alla presenza di composti tossici e al cibo avariato”.
Le preferenze alimentari però subiscono variazioni nel corso della vita. “Nella fase fetale, la mamma influenza le esperienze sensoriali del bambino: c’è una comunicazione tra abitudini alimentari della madre e liquido amniotico e anche i cibi consumati durante l’allattamento modificano il sapore del latte. Ad esempio, l'uso regolare di verdure da parte della mamma può facilitare il loro gradimento nei bambini, che generalmente le rifiutano”, precisa la ricercatrice. “I neonati mostrano una caratteristica preferenza per il gusto dolce e umami rispetto ad amaro, acido e salato. Queste preferenze possono conoscere un'importante evoluzione: con lo svezzamento il lattante conosce i gusti diversi dei vari cibi, e le esperienze gustative in questa fase sono in grado di influenzare e determinare le scelte alimentari che farà da adulto”.
Crescendo poi i gusti mutano. "Durante l’adolescenza e nell’età adulta l’individuo modifica le preferenze e le abitudini alimentari in funzione di fattori ambientali, quali la cultura del luogo in cui vive o le abitudini della famiglia, ma anche a seguito delle esperienze sensoriali legate agli altri sensi, che rendono il gradimento di un alimento il risultato di vari fattori che interagiscono in sinergia”, chiarisce Montagnese. Certamente, esiste una relazione stretta tra olfatto e gusto, che insieme permettono l’esperienza del percepire l'odore, l’aroma, il sapore e il flavour (complesso di sensazioni descritto anche come olfatto retro-nasale) di un alimento, come accade ad esempio quando si consuma il vino. Anche la percezione della consistenza e dell'aspetto di un alimento, come della fragranza avvertita con l’udito - si pensi al suono della crosta di un pane appena sfornato - giocano un ruolo rilevante. “Infine, con l’avanzare dell’età si assiste a una riduzione dell’olfatto e del gusto e a vari cambiamenti del meccanismo che regola l’appetito e il senso di sazietà, portando in genere a una perdita di interesse per il cibo”.
A guidarci nella scelta e nel consumo dei cibi, più che il contenuto di nutrienti, è il piacere che ricaviamo dalla loro assunzione. La scienza conferma. L’esperta, aggiunge: “I risultati di alcuni studi suggeriscono anche che c’è una differenza nella soglia di percezione tra normopeso e obesi: la ridotta soglia di percezione di un gusto potrebbe favorire un maggiore consumo di alimenti ad alta densità energetica e quindi l’aumento di peso corporeo. La causa di tale diversità individuale non è ancora chiara, ma apre nuovi campi di indagine”.
È importante indirizzare, attraverso la diffusione di modelli sani, le scelte alimentari e il gusto degli individui verso abitudini corrette, per contrastare la diffusione di disturbi di vario tipo, in primo luogo dell’obesità, della quale il prossimo 4 marzo ricorre la giornata mondiale. “Nei bambini sarebbe utile l’esposizione ripetuta a cibi generalmente considerati poco appetibili, come frutta e verdura, dal momento che questo ne aumenta il gradimento. Un’altra possibilità è sfruttare alcuni meccanismi psicologici, ad esempio aumentando le situazioni di convivialità in cui gli amici mangiano verdure cucinate in modo che risultino attraenti. Inoltre, l’applicazione delle tecnologie alimentari più innovative può promuovere le scelte di alimenti più ricchi di nutrienti, con importanti ricadute sulla salute”, conclude la ricercatrice.