Focus: Guerra

Sterminare con la chimica

Militare con maschera antigas
di Rita Bugliosi

Nei conflitti, sin dall’antichità, accanto alle armi tradizionali, l’uomo ha utilizzato altri strumenti per uccidere: gas asfissianti, tossici e altri mezzi batteriologici. Il Cnr coordina due progetti per sviluppare sistemi innovativi di decontaminazione da questi aggressivi bellici e le tecnologie messe a punto sono efficaci anche contro inquinanti e pesticidi presenti in cibo, acqua e ambiente

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Il ricorso alle armi chimiche nei conflitti risale all’antichità. Alcune prove datano il loro utilizzo al III secolo d.C., in Mesopotamia, l’attuale Siria: nell’assedio della città di Dura Europos, controllata dall’Impero romano, i soldati sasanidi sistemarono bracieri nelle gallerie scavate sotto le mura, aggiungendo bitume e zolfo, che, prendendo fuoco, divennero tossiche e uccisero i militari romani.

Venendo ai giorni nostri, questo tipo di armi continua a costituire una minaccia, come dimostra l’attacco con missili terra-terra contenenti l’aggressivo Sarin, il 21 agosto 2013, durante la guerra civile siriana, in un quartiere periferico di Damasco. Ma il primato dell’impiego sistematico di armi chimiche in battaglia si ha nella Prima guerra mondiale, tanto che l’alto numero di vittime provocato dall’uso di sostanze nocive o irritanti per l’uomo ha portato nel 1925 alla firma, da parte di 149 stati, del Protocollo di Ginevra con cui si proibisce l’uso in guerra di gas asfissianti, tossici o simili, e di mezzi batteriologici. Una nuova Convenzione, la 'Chemical Weapons Convention’ (Cwc) è stata firmata a Parigi nel 1993 in seguito al massiccio uso di aggressivi tossici nel conflitto Iran-Iraq (1980-1988).

Ragazza con maschera antigas

Ma cosa sono le armi chimiche? “Sono quelle sostanze che esercitano un’azione chimica sui processi vitali, causando danni permanenti all’organismo o determinando la morte. Comprendono non solo gli agenti tossici, ma anche le sostanze che possono essere modificate tramite una reazione chimica come i loro precursori”, spiega Matteo Guidotti dell’Istituto di scienze e tecnologie molecolari (Istm) del Cnr e coordinatore del progetto 'NanoContraChem’, finanziato dalla Nato per lo sviluppo di sistemi innovativi di decontaminazione immediata. “Nell’uso comune si ricorre spesso, non correttamente, al termine 'gas tossici’. In realtà, le armi chimiche moderne si presentano, più che allo stato gassoso, come liquidi o solidi, uno stato che ne aumenta la permanenza e l’efficacia”.

È il caso dell’iprite che prende il nome dalla città di Ypres in Belgio, dove venne usata nel 1917 dai tedeschi nel corso di una battaglia. “L’iprite o gas mostarda è un liquido oleoso, con un odore simile alla senape, che penetra attraverso gli abiti ed è difficile da rimuovere, provoca vesciche e raramente causa morte, che sopraggiunge prevalentemente a causa di complicazioni, quali infezioni”, aggiunge il ricercatore. “L’innovazione nel campo delle armi chimiche negli ultimi anni è stata in realtà modesta rispetto a quella di altre tipologie di armi, in particolare degli ordigni nucleari: “il loro uso, poi, tende a ridursi negli scenari di guerra, mentre c’è sempre più il rischio che cresca in azioni terroristiche e di sabotaggio”.

Irrisolte restano inoltre le questioni relative allo sviluppo di metodi efficaci per lo smaltimento e la bonifica degli arsenali chimici. “Al momento non esistono soluzioni altamente specifiche a costi davvero contenuti; la ricerca prosegue”, spiega Giuseppe Manco dell’Istituto di biochimica delle proteine (Ibp) del Cnr, responsabile del progetto 'Biodefensor’, che ha l’obiettivo di sviluppare metodologie di decontaminazione/detossificazione che evitino inquinamento ambientale e rischi per il personale addetto.

“Il metodo che abbiamo messo a punto si basa sull’uso di enzimi, più precisamente di mutanti specifici e superattivi ottenuti attraverso l’evoluzione molecolare in vitro capaci di rilevare con alta sensibilità di degradare velocemente gas nervini quali Sarin, Soman e Tabun, presenti nell’acqua, nell'aria, su apparecchiature, persone e superfici di vario genere. Queste nuove tecnologie tra l’altro, a livello industriale apporterebbero vantaggi anche in altri settori, come quello del controllo degli inquinanti e dei pesticidi in cibo, acqua e ambiente”.

Fonte: Giuseppe Manco, Istituto di biochimica delle proteine, Napoli, e-mail: g.manco@ibp.cnr.it; Matteo Guidotti, Istituto di scienze e tecnologie molecolari, Milano, tel. 02/50314428, e-mail: m.guidotti@istm.cnr.it

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