Saggi: Natale

Presepe pride

Copertina del libro Il Presepe
di Marco Ferrazzoli

In difesa di questo simbolo napoletano, Marino Niola ed Elisabetta Moro tracciano una storia identitaria ma inclusiva, che parte da Greccio, passa per Giotto ed esplode con l'addomesticazione, iniziata nel Settecento nel Regno di Napoli. Fondamentale il ruolo dei Borbone. Presepi tradizionali sono oggi conservati nei maggiori musei del mondo. Nella sacra rappresentazione si celebrano miracoli, entrano personaggi della politica, della cronaca, dell'attualità. Giuseppe e Maria hanno persino indossato la mascherina. Non è un sacrilegio, bensì l'accoglienza di tutto il mondo e di tutta la storia nella Natività

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Marino Niola ed Elisabetta Moro tracciano una difesa del presepe napoletano che potremmo definire identitaria ma che appare più inclusiva che divisiva, per usare alcuni termini oggi di moda. La sacra rappresentazione nasce a Greccio per intuizione di San Francesco ed evolve prima di tutto con le straordinarie opere di Giotto, dalla raffigurazione della Basilica Superiore di Assisi alla Cappella degli Scrovegni di Padova, e di altri artisti, dai Della Robbia ad Arnolfo di Cambio, la cui opera è conservata nella basilica di Santa Maria Maggiore.

“Ma a rendere davvero popolare il presepe è la sua addomesticazione, iniziata nel Settecento nel Regno di Napoli”, ricorda Niola: è così che parte il “processo di privatizzazione familiare” che rende questo oggetto esclusivamente religioso un “teatro del sacro”. Tra gli altri, rivestì un ruolo fondamentale Carlo III di Borbone, re delle Due Sicilie, salito sul trono di Spagna nel 1759, che aprì una straordinaria collezione poi completata con migliaia di pastori da suo figlio Carlo IV. Si deve ai Borbone, Carlo e sua moglie Maria Amalia di Sassonia, anche la fondazione della Real fabbrica di porcellane di Capodimonte, dove si sono prodotte figure presepiali di straordinaria qualità artistica. Napoli e il Regno delle Due Sicilie sono il fulcro di una straordinaria sublimazione artistica, per cui presepi tradizionali sono oggi conservati nei maggiori musei del mondo, dal Metropolitan di New York al Victoria and Albert Museum di Londra.

A questa produzione culturale si accompagna una capacità di popolarizzare, addomesticare, volgarizzare, normalizzare l'evento centrale della storia dell'umanità tanto creativa da esprimersi, in Spagna, con il personaggio del “cagador”, che diviene ovviamente la figura più amata dai bambini. Particolarmente significative anche la figura dello schiavo, che rimanda al miracolo secondo il quale il Bambinello di un presepe si sarebbe animato per esortare uno schiavo pagano alla conversione al Cristianesimo, e l’altro miracolo attribuito a Maria Francesca delle Cinque Piaghe, abile tessitrice per indossare il vestito della quale il Santo Bambino si sarebbe mosso.

“Il presepe è la buona novella che diventa presente. È la Natività che rinasce. E ogni anno si fa storia viva. Universale e locale. Perché ogni paese ne fa lo specchio di se stesso”, scrive Niola. “A Napoli la nascita di Gesù bambino ha come sfondo il Vesuvio”, è un “Vangelo in dialetto”. Un aspetto identitario e tradizionale che si manifesta però, come accade nelle identità e nelle tradizioni davvero vive, come capacità di adattamento alle più diverse situazioni locali, storiche e culturali. Il presepe diventa così un Vangelo dell'attualità e della cronaca, considerando come i banchi di San Gregorio Armeno, il popolarissimo mercato natalizio, ospitino da decenni personaggi come Antonio Bassolino, Antonio Di Pietro, Silvio Berlusconi, Umberto Bossi (e naturalmente quest'anno Giorgia Meloni); e poi Madre Teresa, Papa Francesco, Michael Jackson, Dolce e Gabbana, Lady Diana, la regina Elisabetta, Barbie, i Maneskin; e ancora, i napoletani Totò, Eduardo, Maradona, Pino Daniele, Sofia Loren, Massimo Troisi. Durante la pandemia, la Madonna e San Giuseppe hanno persino indossato la mascherina. Non si tratta di un sacrilegio bensì, al contrario, del tentativo di includere tutto il mondo e tutta la storia nell’omaggio alla Natività.

Il presepe fa parte di una religiosità e di una fede che hanno bisogno di oggetti e messaggi semplici. Si pensi al “Tu scendi dalle stelle” composto da Alfonso de' Liguori e alla liquefazione miracolosa del sangue di San Gennaro; alle “capuzzelle”, i teschi delle anime del Purgatorio ai quali i napoletani dedicano un culto particolarissimo nel Cimitero delle Fontanelle, grande ossario sotterraneo; alla “Cantata dei pastori” che Peppe Barra porta in tournée in questi giorni (alla Sala Umberto di Roma dall’11 gennaio). A livello intellettuale questa forma religiosa è stata molto apprezzata, per esempio da Goethe nel suo “Viaggio in Italia”, ma ha incontrato anche fieri detrattori, soprattutto in epoca illuministica e durante il governo rivoluzionario francese avversato dal popolo napoletano.

Cosa sarebbe Napoli senza il presepe? Non avrebbe avuto, per esempio, una delle opere più straordinarie di Eduardo De Filippo. Ma non meno sorprendenti sono le figure che richiamano personaggi orientali, dovute alla serie di contatti stabiliti nel 1700 tra Regno di Napoli, Impero Ottomano e la Sublime Porta cinese, dalla quale una delegazione si mosse fino alla capitale per concludere un trattato con Carlo di Borbone che, tra l’altro, determinò la creazione del Collegio dei cinesi da parte del gesuita missionario Matteo Ripa, per mettere i rampolli della nobiltà cittadina in contatto con sapienti dell'oriente. Un modello multiculturale ante litteram. Legioni di mori, mongoli e arabi entrarono così tra i personaggi di contorno della Capanna di Betlemme.

Titolo: Il Presepe
Categoria: Saggi
Autore/i: Marino Niola, Elisabetta Moro 
Editore: Il Mulino  
Pagine: 240
Prezzo: 16,00

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