Sono o non son desto
La cinematografia è gremita di lungometraggi che affrontano il tema del sonno e del sogno. Il film “L’uomo senza sonno-The machinist” del regista statunitense Brad Anderson racconta del rapporto tra la vita reale del protagonista, influenzata da un'insanabile insonnia, e le sue proiezioni mentali. Con Anna Lo Bue, dell’Istituto di farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche, parliamo della dimensione onirica e delle patologie correlate a queste attività
Il tema del sonno, e più ancora dei sogni, affascina da sempre, per via della grande complessità che compete al funzionamento del cervello umano. Anche il cinema è stato spesso suggestionato da questi contenuti: basti pensare, per citare alcuni titoli, a “Sogno” di Akira Kurosawa, “Vanilla Sky” di Cameron Crowe, remake dello spagnolo “Apri gli occhi” di Alejandro Amenabar, la saga horror di “Nightmare”, della quale Wes Craven ha diretto due lungometraggi, passando per “L’uomo senza sonno-The machinist” di Brad Anderson. Nel film di Anderson, interpretato da un Christian Bale profondamente emaciato, il protagonista Trevor Reznik versa in uno stato di insonnia cronica che lo affligge da più di un anno e che lo tormenta al punto da farlo vivere in una dimensione attiva fatta di incontri bizzarri e accadimenti surreali, nella quale la distinzione tra la realtà e l’immaginazione di Reznik presenta contorni indefinibili per lo spettatore, fino alle fasi conclusive del film.
Pura fantasia? Lo abbiamo chiesto ad Anna Lo Bue, neuropsichiatra infantile, ricercatrice dell’Istituto di farmacologia traslazionale (Ift) del Cnr di Palermo. “La mancanza prolungata di sonno può in effetti portare a sintomatologie che prevedono, in alcuni casi, il manifestarsi di allucinazioni. Più frequentemente, l’individuo presenta un controllo difficoltoso della rabbia, mostrandosi maggiormente irascibile e irritabile. Si può dire che dopo alcuni giorni alcuni di veglia si presentano alterazioni percettive e cognitive importanti, pur tenendo conto che il corpo può mettere in atto meccanismi di compensazione. Ad ogni modo, tra i molti disturbi che riguardano il sonno vanno annoverate le parasonnie, come il sonnambulismo, che è abbastanza comune tra i bambini e meno frequente tra gli adulti, l’ipersonnia, ovvero l’eccessiva sonnolenza diurna, e l’insonnia propriamente detta. Quest’ultima può essere un disturbo intrinseco, oppure essere associata a patologie quali la sindrome delle apnee ostruttive e i movimenti periodici degli arti nel sonno, o a disturbi mentali e neurologici, ansia, depressione, demenza. Particolarmente importante è l’associazione comprovata tra sonno e malattie neurodegenerative come l’Alzheimer".
Durante il sonno l’attività del cervello continua a manifestarsi, anche attraverso i sogni. “Fino agli anni cinquanta del ‘900 si riteneva che il sogno avvenisse soltanto durante la fase Rem (Rapid eye movement). Studi successivi hanno dimostrato che si sogna anche nelle altre fasi che vanno dal sonno leggero a quello profondo. "Tuttavia, esistono importanti differenze tra le tipologie di sogni che avvengono nei diversi stadi. A livello neurobiologico, il sogno Rem è contraddistinto da immagini e visioni forti, complesso e tormentato, vi vengono elaborate emozioni profonde, nelle quali è protagonista l’inconscio" prosegue la ricercatrice del Cnr-Ift. "Il sogno non-Rem è invece più aderente alla realtà, come se in queste fasi, più frequenti nei periodi che seguono l’addormentamento, il cervello programmasse le attività da svolgere nel quotidiano. La tipologia della quale si ha più frequentemente memoria è la Rem, che avviene spesso nelle ore del risveglio, sebbene si pensi che il ricordo possa essere determinato anche dalla frammentazione del sonno o dai processi di rimozione che il cervello attiva automaticamente. Infatti, il cervello viene stimolato dall’irregolarità del sonno che quindi può favorire la rievocazione del sogno, mentre i meccanismi di auto censura attivati dal nostro inconscio cancellano i contenuti onirici particolarmente emozionanti”.
Anche le differenze genetiche determinano diverse necessità e particolari attitudini in termini di riposo. “Questo dipende dal cronotipo caratteristico di ciascun individuo, ovvero la predisposizione a svolgere un certo tipo di attività in una determinata fase della giornata, piuttosto che in un’altra. La scienza definisce gufi i soggetti particolarmente attivi, ad esempio nello studio e nella scrittura, nelle fasi serali e notturne, e allodole quelli che lo sono nelle prime ore della giornata. Esistono poi soggetti cosiddetti brevi dormitori, che necessitano di poche ore di riposo per recuperare la funzionalità neurocognitiva completa: anche questo è determinato dal nostro corredo genetico", conclude Lo Bue.