Bisogna svuotare l'immondizia del cervello
"I sogni sono la mia unica realtà", dice Daniel Pennac, che torna a teatro con “Dal sogno alla scena”. Lo spettacolo, con la regia di Claudia Bauer, è tratto dal romanzo in cui lo scrittore francese racconta il suo mondo narrativo e onirico, omaggiando Federico Fellini. Lo abbiamo incontrato al teatro Artemisio di Viterbo
Terreno prediletto dell’inconscio, regno di immagini e pensieri, suoni, voci e sensazioni che confinano con la realtà: il sogno è una dimensione indecifrabile a di cui non possiamo fare a meno. Sono in molti gli autori e gli inventori che devono scoperte e opere alla loro prolifica attività onirica. Pensiamo alla scrittrice Mary Shelley, che sognò Frankenstein, al fisico Nikola Tesla, a Elias Howe, che dai sogni trasse l'ispirazione per inventare la macchina per cucire. Oppure allo scienziato Friedrich August Kekulé, che in sogno scoprì la struttura chimica del benzene, “Siamo strettamente in relazione con i nostri sogni” dichiara Daniel Pennac, autore della fortunata serie di romanzi che girano attorno a Benjamin Malaussène, capro espiatorio professionista, e alla sua strampalata famiglia. A questo mondo l’autore dedica uno spettacolo dal titolo “Dal sogno alla scena”, con Demi Licata e Pako Ioffredo, scritto a sei mani con Ioffredo e Clara Bauer. Lo spettacolo, ora in tour nelle città italiane, intreccia il mondo narrativo e onirico raccontato dallo scrittore in persona, e si trasforma in un sontuoso omaggio a Federico Fellini. Abbiamo incontrato Daniel Pennac a Viterbo al Teatro Artemisio.
Cosa ci fa su un palcoscenico?
È un mistero (sorride). Non pongo mai domande a me stesso, ma sono sulla scena da quindici anni. È stato Jean Michel Ribes a trasformarmi in attore.
Come si trova in questi panni?
No usano panni inconsulti, ormai. E poi, sono stato professore di scuola per trent’anni e per catturare l'attenzione degli alunni i docenti a volte devono adottare strategie attoriali. Io alcune volte ho anche fatto un pò il clown.
Perché è importante sognare?
Il sogno è una funzione vitale. Gli etologi hanno scoperto che impedendo a un animale di sognare, a un gatto per esempio, l'animale muore. Il sogno è l'immondizia del cervello e in qualche modo bisogna vuotarla.
Che rapporto c’è tra la scrittura e i sogni?
Bisognerebbe chiederlo a Federico Fellini, che per tutta la vita ha tenuto un diario dei suoi sogni. Quando guardiamo i film di Fellini ci rendiamo conto che sono un gran numero di immagini in sequenza, le stesse immagini che nel suo libro dei sogni, un quadernone dove non si limitava a scriverli ma li disegnava, e li dipingeva anche. Nel nostro spettacolo raccontiamo, ad esempio, come il film “Prova d'orchestra” fosse in relazione con un sogno che Fellini aveva fatto ben diciassette anni prima.
Lei, invece, quanta importanza dà ai suoi sogni?
Per me rappresentano dei banchi di gioco da cui traggo ispirazione per raccontare. L'ultimo romanzo che ho pubblicato in Italia si chiama proprio “La legge del sognatore” e dimostra come, a partire da un sogno, ho potuto costruire un racconto.
Tutti i suoi personaggi sono nati così?
Non tutti, anzi in realtà molto pochi. Sono le situazioni, piuttosto, a essere nate da un sogno. I personaggi che racconto nei miei romanzi spesso sono amici, che io trasformo in caratteri. Pako Ioffredo, ad esempio, qui sulla scena diventa un personaggio e mi ricatta (ride).
Anche lei tiene un taccuino come Federico Fellini?
Sì, ma senza disegni e senza pitture. Semplicemente, quando al risveglio mi viene in mente un sogno, lo annoto.
Ne ha uno ricorrente?
Sì, sogno molto spesso di avere una casa in Bretagna, che poi è esattamente la mia casa. Quando faccio questo sogno provo un sentimento di incredibile realtà, al punto da chiedermi se questa casa esiste o meno.
Si è espresso spesso nei confronti dell'autofiction, genere in cui gli autori usano uno stile razionale e preciso, quasi illuminista, diametralmente opposto al suo.
Io non pratico l'autofinzione, ma nell'ultimo Malaussène ho immaginato uno scrittore di autofinzione. È un genere che nasce da una reazione contro la finzione ufficiale, non a caso è nato agli inizi degli anni novanta, del secolo scorso quando la televisione è entrata a gamba tesa nelle case con la fiction, che ha iniziato a permeare la società.
Ha dedicato un libro a Federico Fellini. Cosa la lega a lui?
È il mio cineasta preferito in assoluto. Quando non ho nulla da fare mi metto i dvd di Fellini, “Amarcord”, “8 e mezzo”, “E la nave va”, e li guardo per la centocinquantesima volta.
Ha un sogno da realizzare?
Fino a che non sarò morto vivrò un sogno, perché sono ancora vivo e non sto sognando. Anche questa tournée teatrale con i miei amici non è un sogno, eppure è come se lo fosse.