Nel 2022 è ricorso il centenario della Marcia su Roma con cui nacque il regime fascista, consolidatosi negli anni successivi. Una ricorrenza di indubbio rilievo storico, forse passata un po’ sottotono, relegata nelle polemiche ideologiche più che nell’approfondimento storiografico. Si potrebbe pensare che di studi su questo periodo non ne servano più, ma “Il dissenso al fascismo” (Il Mulino) di Mario Avagliano e Marco Palmieri dimostra invece quante zone ancora meritino un'adeguata illuminazione.
In genere, infatti, si parla dell’antifascismo, dei suoi martiri e dei suoi esuli, della repressione, del confino e del carcere, nonché ovviamente della resistenza che, dopo il 25 luglio e l’8 settembre, diviene “combattente”. Ma il dissenso nel Ventennio fu molto altro tra cui, continuando a stralciare dall’indice del volume: “Il no al giuramento di fedeltà”, “Il malcontento dei lavoratori”, “L’opposizione popolare”, le barzellette su Mussolini e i gerarchi.
L’argomento consente agli autori di illustrare anche la figura di Vito Volterra: matematico, fondatore e primo presidente del Cnr, avversario a viso aperto del fascismo sin dalle origini, estromesso progressivamente da tutte le numerose e prestigiose cariche scientifiche e istituzionali, costretto all’esilio e sottoposto all’oblio, esonerato dalle leggi razziali solo in virtù del suo status di senatore del Regno, Avagliano e Palmieri peraltro, evidenziano quanto debole sia stata la reazione degli antifascisti e dei fuoriusciti alle leggi razziali.
Un altro aspetto interessante che il saggio induce a considerare è il rapporto tra dissenso e andamento delle vicende belliche. Se la guerra d’Etiopia fa segnare l’apice della popolarità mussoliniana e quella di Spagna costituisce un importante momento di consapevolezza e coesione delle diverse posizioni antifasciste, sono il Patto con la Germania e l’ingresso in guerra a fianco dei tedeschi a segnare prima le crepe e poi, con le disfatte militari, la fine del consenso. Senza queste premesse non sarebbe ovviamente concepibile la guerra civile.
Il dissenso è un “fenomeno eterogeneo”, che va dalla semplice indifferenza intima e privata fino all’antifascismo militante. I provvedimenti che segnano la fine dello Stato liberale vengono emanati nel 1925-1926, il nuovo Codice penale viene redatto da Alfredo Rocco nel 1930, lo Stato autoritario vero e proprio “può dirsi compiuto nel 1929”. con i suoi apparati repressivi, come l’Ovra e la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Questo può motivare quanto la presa di coscienza degli italiani rispetto al regime appaia tardiva, altalenante, faticosa. Eppure: “Nei venti anni in cui ha governato il fascismo non è mai mancato il dissenso”, che “ha contribuito non poco a preparare la popolazione alla Resistenza e alla lotta armata del 1943-1945”. Certo, le “cerimonie nelle quali le più alte cariche dello Stato facevano atto di devozione al regime”, le “dimostrazioni oceaniche nelle maggiori piazze d’Italia alle folle deliranti”, la “cosiddetta macchina del consenso”, frutto di un “uso congiunto di forza e persuasione” rendono l’impresa di chi dissente faticosa quanto la scalata del Monte Bianco con uno stuzzicadenti, per usare la metafora di Ernesto Rossi citata nel volume.
Il merito de “Il dissenso al fascismo” è di avere portato sul tema l'attenzione storiografica che “si è tradizionalmente concentrata sul periodo della Resistenza, relegando le varie forme di dissenso e di opposizione degli anni precedenti in un limbo più o meno agiografico”. Nel volume non trovano spazio però gli Internati militari italiani, cui gli autori hanno dedicato altri studi specifici tra cui, sempre edito dal Mulino, “I militari italiani nei lager nazisti”. Gli Imi condussero dall’8 settembre 1943 fino all’aprile 1945 una “resistenza senz’armi” o “resistenza bianca” che è anche una resistenza dimenticata.
Titolo: “Il dissenso al fascismo”
Categoria: Saggi
Autore/i: Mario Avagliano, Marco Palmieri
Editore: Il Mulino
Pagine: 465
Prezzo: 30,00